LO SCUDO BCE ANTI SPREAD è NECESSARIO
Lo spread nelle ultime settimane ha rialzato la testa. In parte si tratta di un fenomeno atteso, che è connesso alla normalizzazione della politica monetaria della Banca centrale europea ( Bce), avviata ad inizio 2022.
Tuttavia c'è un fattore di rischio in rapida ripresa sui mercati dei derivati di credito ( Credit default swap, Cds) che ha elevato il livello di attenzione della Bce: si tratta del rischio di “ridenominazione” ( frammentazione), ovvero la chance che un Paese membro esca dall'area valutaria e ripaghi il debito in altra valuta.
Per capire, è necessario analizzare le differenze tra i nuovi Cds basati sulla normativa introdotta nel 2014 dall'Associazione internazionale degli intermediari in swap e derivati ( Isda) e i contratti basati sulla normativa del 2003.
I Cds Isda 2014 includono un riferimento alla ridenominazione in “nuove lire” come evento creditizio. In sostanza, con questo contratto se l'Italia uscisse dall'euro ( Italexit) il detentore sarebbe pienamente assicurato. Ovviamente il premio dell'assicurazione “full optional” è più elevato e la differenza misura la probabilità che gli operatori di mercato stanno assegnando alla possibile uscita dalla moneta unica.
Nel 2017, quando Marie Le Pen dichiarò in campagna elettorale che, se eletta, avrebbe ridenominato il debito francese in nuovi franchi, il rischio di ridenominazione ( prima trascurabile) triplicò da 20 a 60 punti base. Nel 2018, il conflitto tra il governo italiano “giallo- verde” e la Commissione europea lo fece quintuplicare fino a 120 punti mentre nel 2020 la crisi pandemica provocò un picco a 60 punti.
Adesso siamo a 90 punti: un livello elevato ma lontano dai massimi del 2018. Tuttavia l'impatto relativo rispetto al rischio di credito complessivo dell'Italia è cresciuto ulteriormente ed è ora superiore al 50% ( area rossa). In altri termini la metà della crescita dello spread dipende da una stima più alta degli operatori del rischio di Italexit.
Questa percezione può dipendere dal differente quadro macro- economico: veniamo fuori dalla violenta recessione pandemica e da una ripresa economica incompleta, con un rapporto debito/ Pil ( 134,1% nel 2018, 150,8% nel 2021) ed un deficit (- 2,2% nel 2018, - 7,2% nel 2021) notevolmente più elevati. Inoltre i tassi di interesse sono destinati a salire insieme al costo atteso del servizio del debito.
Da cosa dipende il restante spread? C'è un rischio aspecifico di essere un Paese periferico al pari della Spagna ( area blu) cresciuto in misura moderata ( 20 punti base circa), ed una componente residuale collegata a fattori “idiosincratici” connessi con la situazione politica/ economica nazionale ( area gialla) che è in trend di contrazione ed ha perso rilevanza dal 2018- 2019.
Da qui nasce l'opportuna decisione di sviluppare un più efficace scudo anti- spread e stroncare sul nascere un’eventuale crisi stile 2011 in una fase delicata di rialzo dei tassi. I risultati si vedono, in analogia con quanto accadde con il « Whatever it takes » del presidente Draghi che introdusse il primo scudo anti- spread.
In un momento di congiuntura internazionale in cui si intrecciano crisi energetica, geopolitica ed ambientale, i falchi tedeschi ostili dovrebbero riconoscere che un'efficace gestione dello spread sarebbe la prima condizione necessaria per avviare con successo un ciclo di ragionevoli rialzi dei tassi di interesse senza precipitose ( e deleterie) retromarce. Direttore Generale dell’Agenzia delle Accise,
Dogane e Monopoli Marcello Minenna Le opinioni espresse sono strettamente personali