« Basta con logiche assistenziali, ripartire dallo sviluppo dei vivai »
« Definirei la situazione critica, perchè è evidente la divergenza di vedute tra la Figc e la Lega Serie A, sulla governance del calcio come sulle regole economiche da seguire. E quando non c’è una visione comune è impossibile costruire. O ricostruire » .
L’analisi di Ernesto Paolillo, banchiere ed ex ad dell’Inter di Massimo Moratti tra il 2005 e il 2012, l’ultimo dirigente di un club italiano ad aver alzato al cielo il trofeo della Champions league nel 2010, è amara. Anche se non priva di prospettive. « La verità - dice alla fine del colloquio - è che servirebbero degli Stati generali del calcio italiano, per raccogliere idee ed energie da economisti, sociologi, esperti di marketing e nuove tecnologie e alre figure professionali. Aprirsi al contributo di tutti e non lasciare che le discussioni ristagnino tra i soliti addetti ai lavori » .
Eppure in questi dieci anni di volti nuovi se ne sono visti nel calcio italiano.
È vero. Gli imprenditori italiani hanno ceduto il passo a tanti investitori stranieri. Ne sono arrivati di buoni e di meno buoni.
Ma il fatto è che i problemi e i deficit sono rimasti gli stessi. Anzi si sono aggravati. A partire da una maturazione in chiave aziendale che non c’è stata, se non in alcuni casi. Quello che mi preoccupa è la maggioranza delle società, la classe media, che è rimasta al dilettantismo sotto il profilo gestionale. Incapace di estrarre valore dalla filiera produttiva del calcio e incline all’assistenzialismo. In che senso?
Diciamo che l’assegno collettivo garantito dalla cessione dei diritti tv ha indotto molti a vivere di questi ricavi senza sviluppare a dovere altre fonti di entrata. Sullo stesso piano metto il paracadute per i club che retrocedono, uno strumento utile per certi aspetti, ma di cui spesso i club hanno abusato rimbalzando tra Serie A e B. E ancora penso agli incentivi fiscali per importare gli stranieri del decreto Crescita e alla richiesta di ristori durante il periodo della pandemia. Per carità, con gli stadi chiusi i club hanno sofferto, ma non ci si può limitare a chiedere aiuti e poi continuare a spendere
‘ Per affrontare il declino bisognerebbe convocare
Stati generali aperti al contributo di tutti
per acquistare giocatori con ingaggi spropositati. È un po’ contraddittorio. Spaventa la politica.
Come bisognerebbe muoversi? Ogni ramo dell’azienda calcio andrebbe gestito con rigore, riducendo gli sprechi, tagliando i costi e mettendolo a reddito. Immagino pensi agli stadi.
Già. Quanti club hanno organizzato servizi ed eventi collaterali per indurre le famiglie a vivere lo stadio oltre le due ore della partita? Ma non è solo colpa dei club se gli stadi restano obsoleti.
A Milano sono passati tre anni. Ma se il Comune nicchia, si va a farlo altrove. Uno stadio moderno è un asset urbanistico di pregio, di cui è un peccato si sottovaluti l’importanza per la città. Lei ha sempre avuto un occhio di riguardo per i settori giovanili.
Perchè è lì che si trova la vera ricchezza. I centri sportivi e i modelli per valorizzare i giovani dovrebbero essere al centro di ogni business plan. Di talenti italiani ce ne sono. Ma si perdono perchè non esistono regole che obbligano le squadre a schierarli in prima squadra. Ma senza giocare nel calcio dei grandi i giovani, mi creda, non maturano. E invece noto la tendenza a ricorrere alla scorciatoia di arruolare il giocatore straniero più esperto per non rischiare. E perchè, non bisogna nasconderselo, il calciomercato è dominato da agenti che hanno mille interessi per fare affari all’estero. Serve un nuovo modello anche federale per far crescere i giovani. Perchè una nazionale più forte è un toccasana anche per le società di Serie A.