Nei bilanci il boom 2021, futuro a rischio
Migliorano utili e ricavi ma sul 2022 peseranno guerra e inflazione
Nei bilanci relativi al 2021, che le imprese stanno depositando in questi giorni, migliorano quasi tutte le voci contabili: crescono, in particolare, il valore della produzione (+ 18,3% sui dati pre pandemia) e il risultato ante imposte (+ 52,8%). La fotografia scattata da Infocamere su una platea di 268mila imprese inquadra bene i numeri della ripresa 2021, ma tra le righe dei rendiconti si intravedono fattori di debolezza destinati ad aggravarsi con la guerra, i rincari delle materie prime, l’inflazione e l’aumento del costo del denaro. Sono cresciuti, ad esempio, anche i debiti verso le banche.
Grazie ai bonus fiscali, tra il 2019 e il 2021 è calato il tax rate sugli utili societari, mentre resta elevato il costo del personale a causa del cuneo fiscale.
Migliorano quasi tutte le voci nei bilanci che le imprese stanno depositando in queste settimane. Il valore della produzione cresce del 18,3% rispetto ai livelli pre pandemia. Il risultato ante imposte sale addirittura del 52,8% per cento. I primi 268mila rendiconti nel Registro delle imprese fotografano così la ripresa del 2021 dopo lo shock causato dal Covid nel 2020, secondo le elaborazioni di Infocamere per Il Sole 24 Ore del Lunedì.
Sarebbe un quadro incoraggiante per il futuro, se non fosse che negli ultimi mesi – dopo la chiusura degli esercizi al 31 dicembre – la guerra e l’inflazione si sono aggiunte ai rincari delle materie prime già in atto dalla seconda parte dell’anno scorso.
Gli eventi degli ultimi mesi – e lo spettro della recessione – non entrano ovviamente nei numeri dei bilanci relativi al 2021, anche se vanno soppesati nella nota integrativa ( si veda Il Sole 24 Ore del 4 aprile scorso). Guardare all’andamento degli ultimi tre esercizi, però, permette di valutare come le imprese hanno affrontato la pandemia, quale effetto hanno avuto le contromisure varate dai Governi e come il sistema produttivo si presenta di fronte al nuovo banco di prova rappresentato dal conflitto, dall’inflazione e dell’aumento del costo del denaro.
Introiti medi a 3,2 milioni
Il valore medio della produzione – per le imprese nella platea di Infocamere – era 2,8 milioni di euro nei bilanci 2020 relativi al 2019, l’ultimo anno di “normalità”. Possiamo ipotizzare un’azienda immaginaria, la Riletti Autotrasporti: nel 2020 segnato dal Covid ha visto scendere i ricavi a 2,6 milioni; l’anno scorso, sull’onda del Pil cresciuto del 6,6%, è arrivata a 3,2 milioni. In queste settimane, proprio mentre il commercialista deposita il bilancio in formato Xbrl in forma abbreviata nel Registro imprese, gli amministratori affrontano il caro- carburanti e misurano la sostenibilità dei debiti.
Il traino delle vendite
La ripresa si intravede in molte voci dei bilanci relativi al 2021.
L’aspetto più evidente è il miglioramento del valore della produzione. Fatto 100 il dato del 2019, il valore è sceso a 94,6 nel 2020 per risalire a 118,3 l’anno scorso. Ma l’andamento positivo degli affari traspare anche dalla crescita dei crediti verso clienti, che sono praticamente allineati al trend del valore della produzione ( 118 nel 2021). Si può dare una lettura positiva anche del lieve incremento delle rimanenze ( 105,5 nel 2021), segno che le imprese hanno prodotto – e venduto – con fiducia nel futuro.
Anche il balzo delle disponibilità liquide ( 146,3 nel 2021) è ricollegabile alle vendite. Ma questa non è l’unica spiegazione, perché le aziende esaminate da Infocamere avevano chiuso anche il difficilissimo 2020 con più denaro in cassa di quanto ne avessero alla fine del 2019. Ecco allora l’effetto delle misure di sostegno alla liquidità varate dal Governo allo scoppio della pandemia. Pandemia che, comunque, ha visto anche un aumento dei debiti totali e di quelli verso le banche, che al 31 dicembre dell’anno scorso erano – in media – più alti dell’ 11,7% rispetto a due anni prima.
Altre voci di bilancio riflettono le misure contro l’emergenza varate dal Governo due anni fa. Ad esempio, l’aumento del patrimonio netto – arrivato a 114,8 nel 2o20 e 126,2 nel 2021 – beneficia senz’altro delle decisioni degli imprenditori che hanno messo mano al portafoglio, ma anche delle rivalutazioni agevolate e della super Ace ( si veda l’articolo in basso).
La ripresa del 2021 è stata accompagnata tra l’altro da un aumento degli investimenti, che emerge soprattutto nel + 17,7% degli ammortamenti materiali. In pratica, il totale delle quote è cresciuto nonostante la possibilità di sospendere gli ammortamenti, concessa nel 2020 e nel 2021. Un risultato senz’altro significativo, assecondato anche dai bonus investimenti.
Le diverse agevolazioni hanno portato il tax rate dal 24,4% dell’esercizio 2019 al 22,05% dell’anno scorso. Il dato andrà confermato con il totale dei bilanci. E, soprattutto, va letto in abbinata al costo del personale, che resta molto elevato – tra oneri fiscali e contributivi – ed è tornato al di sopra dei livelli pre pandemia ( 106,8 a fine 2021 dopo il calo a 95,4 nel 2020 tra cassa integrazione e riduzione degli straordinari).
Tempi stretti per l’Ires
Tra le tante incognite di questo periodo, c’è una certezza: la legge delega per la riforma fiscale – attesa all’ok del Senato dopo il via libera di Montecitorio arrivato la scorsa settimana – non cambierà lo “scenario fiscale” per quest’anno. Si cercherà di intervenire sull’Irap con la manovra per il 2023 e, magari, di anticipare qualche altro capitolo della riforma.
Il riassetto generale dell’Ires, con l’avvicinamento tra valori contabili e fiscali, pare però destinato a slittare alla prossima legislatura.
‘ Le imposte sugli utili scendono al 22,05%, ma resta elevato il cuneo fiscale sul costo del personale