Incassi a titolo di acconto su prestazioni future: fattura solo con dati certi
Non c’è presupposto impositivo se gli elementi rilevanti non sono noti Il principio vale ( e va ben monitorato) anche per le operazioni non imponibili
Agisce correttamente il soggetto che non emette fattura e non applica l’imposta a fronte di somme ricevute a titolo di acconto su future prestazioni. Giunge a queste conclusioni la sentenza 486/ 2/ 2021 della commissione tributaria del Molise ( presidente Di Lorenzo, relatore Scarano) che conferma la decisione di primo grado.
La vicenda
I giudici di primo grado, pur avendo disconosciuto la natura di finanziamento delle somme in questione ( invocata dalla contribuente), avevano comunque affermato la loro esclusione dal campo applicativo Iva, rigettando la pretesa dell’ufficio.
Nel dettaglio la società ricorrente impugnava tre avvisi relativi – rispettivamente – agli anni di imposta 2011,2012 e 2013 con i quali era stata accertata una maggiore Iva relativa a somme non fatturate, versate da una società cliente a titolo di acconto su prestazioni future e registrate come « anticipi » , « accettazioni bancarie » e, in uno dei tre anni, come sopravvenienze attive.
La sentenza
Secondo la Commissione regionale, conformemente a quanto stabilito dalla Cassazione con sentenza 14716/ 2021, l’incasso di un acconto o l’emissione anticipata della fattura realizzano il presupposto impositivo a condizione che « gli elementi rilevanti della futura operazione siano noti » e l’operazione « sembri certa » a tale data, vale a dire alla data dell’incasso o dell’emissione della fattura.
Se non ricorrono tali circostanze, come potrebbe essere nel caso di una somma versata come caparra o di un importo versato forfettariamente – magari per vincolare il futuro fornitore alla cessione di beni che saranno individuati solo in un secondo momento – l’operazione non è ( ancora) rilevante ai fini dell’imposta e non va emessa fattura.
I principi comunitari
La decisione in esame, oltre che allineata ad altri precedenti della stessa corte di Cassazione ( fra gli altri, sentenza 10606/ 2015), appare corretta anche alla luce della disciplina comunitaria.
Il principio per cui l’imposta diviene esigibile solo se sussistono tutti gli elementi che consentono d’individuare la futura cessione o prestazione è stato infatti consacrato nella sentenza C- 419/ 02 e ribadito da successive pronunce della corte di Giustizia europea.
Le operazioni non imponibili
Peraltro, di tale principio occorre tener conto anche in relazione a operazioni che – se e quando saranno realizzate – saranno non imponibili ( cessioni all’esportazione o assimilate, cessioni intracomunitarie, servizi internazionali), dal momento che potrebbe essere a rischio il plafond alimentato dalle fatture contestate o addirittura lo status di esportatore abituale.
Il monito opera nei confronti di chi percepisce un acconto ( o emette fattura in anticipo rispetto al momento d’effettuazione), il quale dovrà sincerarsi di aver già individuato correttamente l’operazione, ma anche nei riguardi del destinatario della fattura. Tralasciando possibili implicazioni penal- tributarie, quando non è certa l’esecuzione o non sono noti tutti gli elementi della futura cessione/ prestazione, la contestazione concerne il diritto di detrazione dell’Iva addebitata nella fattura ricevuta.
Cosa diversa è la genericità del documento in presenza di un’operazione individuata. In quest’ipotesi, infatti, il contribuente può fornire gli elementi che integrano le carenze della fattura ( Cassazione 13882/ 2018), purché effettivamente idonei allo scopo ( Cassazione 37208/ 2021).