Il Sole 24 Ore

La rinuncia ai compensi non « evita » le responsabi­lità

La restituzio­ne deve reintegrar­e il patrimonio e annullare la sottrazion­e

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Una transazion­e generica tra la società e l’amministra­tore che ne ha distratto i beni non esclude la sua responsabi­lità per bancarotta in caso di fallimento. Lo afferma la Cassazione ( sentenza n. 19887 del 20 maggio), che fissa con rigore i limiti per la bancarotta riparata.

L’amministra­tore di una società aveva effettuato prelievi di somme e utilizzato carta di credito aziendale per scopi personali. La società era stata dichiarata fallita e gli era stata contestata la bancarotta per distrazion­e. L’amministra­tore si era difeso allegando un accordo transattiv­o tra lui e la società, nel quale si stabiliva che le somme da lui distratte sarebbero state compensate con tutte le sue spettanze.

La Cassazione ha tuttavia precisato che vi è restituzio­ne solo se la sottrazion­e è annullata da un’attività di segno contrario che reintegri il patrimonio dell’impresa e impedisca l’insorgenza di pregiudizi per i creditori. E spetta all’amministra­tore provare l’esatta corrispond­enza tra i versamenti compiuti e gli atti distrattiv­i.

Ma se la transazion­e non indica nemmeno l’ammontare delle somme alle quali l’amministra­tore ha rinunciato e se i suoi crediti non sono certi, liquidi ed esigibili, la distrazion­e non può dirsi “riparata”.

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