Il Sole 24 Ore

Mediobanca e Generali, eredi orientati a confermare la rotta

I dossier. Sulle due partite finanziari­e confronto in vista sulla strategia da seguire: in Piazzetta Cuccia resta l’obiettivo del 25% senza trasformar­e Delfin, su Trieste cruciale il rendimento dell’asset

- Laura Galvagni

La medesima reazione su due dossier a ben guardare leggerment­e diversi. La scomparsa di Leonardo Del Vecchio si è abbattuta in quasi egual misura sul titolo di Mediobanca e su quello delle Generali. La prima ha lasciato sul terreno di Borsa il 2,16% a 8,44 euro mentre la seconda ha perso il 3,03% a 15,53 euro. Una dinamica frutto di un interrogat­ivo che per ovvie ragioni il mondo finanziari­o si è posto negli attimi immediatam­ente successivi al triste annuncio: che ne sarà ora dello scontro in atto per scardinare il legame tra Piazzetta Cuccia e il Leone di Trieste, di cui il patron di EssiLux era uno dei protagonis­ti più attivi? Difficile dire con certezza cosa accadrà ma un aspetto appare evidente agli occhi di molti osservator­i: se è vero che il fronte è unico è altrettant­o chiaro che i campi di battaglia sono ben distinti. E certamente quello che al momento appare più caldo è quello relativo al destino del sostanzios­o pacchetto detenuto nell’istituto guidato da Alberto Nagel.

Il timore del mercato è che gli eredi di Del Vecchio decidano di abbandonar­e questo conflitto riversando su Piazza Affari un fiume di carta, Delfin ha il 19,4% di Mediobanca, che potrebbe risultare particolar­mente indigesto agli investitor­i. Una simile soluzione, tuttavia, appare improbabil­e. La partita su Piazzetta Cuccia ha radici che vanno ben al di là delle logiche finanziari­e. Fin da subito l’ingresso di Del Vecchio nel capitale di Mediobanca è parso come una risposta allo stop che la stessa banca aveva imposto al patron di EssiLux sul dossier Ieo, progetto particolar­mente caro all’imprendito­re. Una tale associazio­ne di idee però è altamente riduttiva, tanto più se si considera quale è stata la molla che ha fatto scattare l’ascesa: la visione di Del Vecchio sul ruolo che Mediobanca avrebbe dovuto giocare in Italia e all’estero negli ultimi anni.

Ora Delfin ha poco meno del 20% dell’istituto ma nei mesi scorsi avrebbe sondato la Bce per capire se raggiunger­e o meno il 25%. Su questo punto sarebbe in atto un confronto, con la vigilanza, per chiarire se sia davvero necessario che la cassaforte si trasformi in un gruppo bancario con tutte le “rigidità” che questa scelta eventualme­nte comportere­bbe in termini di capitale, reportisti­ca e governance. Per il gruppo Del Vecchio, infatti, il mutamento di pelle si renderebbe necessario solo a fronte del superament­o della soglia, al di sotto della quale invece dovrebbe essere ancora garantita libertà di manovra. In ragione di ciò il primo snodo, cruciale, è capire se gli eredi vorranno o meno raccoglier­e anche “il lascito” strategico dell’imprendito­re.

La sensazione è che al momento sia questa la direzione che si vuole imboccare. E che a prendere in mano le redini del gioco sarà Francesco Milleri, il manager che ormai da tempo era diventato l’uomo di più stretta fiducia di Del Vecchio, e ora potenzialm­ente destinato ad assumere la guida di Delfin. Toccherà dunque a lui chiamare a raccolta la famiglia per decidere se proseguire nel solco delle orme tracciate dal patron di EssiLux, avendo come data chiave il 28 ottobre 2023, ossia il giorno della scadenza dei vertici dell’istituto, oppure se mettere il pacchetto al servizio di un altro investitor­e, che sia una banca ( UniCredit o Intesa Sanpaolo i nomi più volte circolati in questi mesi), o un fondo per condivider­e il percorso.

In questo scenario non possono certo mancare gli aspetti più prettament­e finanziari: la partecipaz­ione sarebbe infatti in carico attorno a 8 euro contro gli 8,44 euro della chiusura di ieri.

Quanto a Generali, altro asset sul quale aveva focalizzat­o la propria attenzione di investitor­e, ma sempre con la logica dell’imprendito­re, è una partita che non necessita almeno nell’immediato mosse azzardate. Romolo Bardin, per anni nel consiglio del Leone, proprio in rappresent­anza di Del Vecchio, conosce ogni angolo del gruppo assicurati­vo ed è consapevol­e che pure nei mari più in tempesta, come quello che si appresta ad affrontare la compagnia, il rendimento è in sostanza garantito.

Dunque se non sussistono ragioni finanziari­e per mettere in cantiere un potenziale disinvesti­mento, Delfin detiene il 9,82%, c’è da chiedersi quanto sarà ancora attiva la campagna al fianco di Francesco Gaetano Caltagiron­e per imprimere una svolta a Trieste.

« Se n’è andato un grande italiano. Ne sentirò la mancanza come amico, come imprendito­re e come uomo di princìpi » , ha detto ieri Caltagiron­e a proposito della scomparsa di Del Vecchio. Con lui, d’altra parte, ha condiviso negli ultimi mesi un pensiero comune: quello che a Trieste serva un cambiament­o radicale al vertice e nelle strategie. Posizione sempre supportata anche da Bardin e Milleri che, ancora una volta, sembrerebb­ero pronti a non lasciar cadere nel vuoto gli auspici dell’imprendito­re. Da capire, però, quanto nella battaglia Mediobanca- Generali la perdita di un “frontman” del calibro di Del Vecchio possa pesare.

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