Letta, Salvini, Meloni: dalle urne problemi più che successi
Non è solo una questione di addizione, come dice Meloni che conta tutte le città andate al voto e rivendica il vantaggio del centro- destra. I semplici numeri raccontano poco perché il caso di Verona è diverso da altri e soprattutto mette a nudo il problema della coalizione. Che, certo, sono le liti ma il fatto scabroso è nella motivazione che le genera, cioè una competizione esasperata tra Salvini e la leader di FdI. In effetti è una cosa recente da queste parti. Era frequente invece nel campo degli avversari dove i leader o capi corrente della sinistra si sono sempre fatti la guerra finendo, spesso, per auto- distruggersi. Dal lato dei moderati invece ha dominato la figura del capo carismatico, Berlusconi, che non aveva bisogno di imporre la leadership ma mediava tra le incompatibilità di un’alleanza disomogenea, che andava da un partito nordista alla destra sociale e nazionalista.
Adesso la novità è che non si fanno battaglie sui programmi ma per stabilire chi comanda e pure le elezioni, come queste ultime, diventano teatro di guerre. Con questo spirito sono stati scelti alcuni candidati, più per mettergli una targa che per andare incontro agli elettori. Lo diceva bene Flavio Tosi che si è visto rifiutare un accordo dallo sconfitto Sboarina. « Ne esce ridimensionata Meloni: non ha saputo far ragionare un suo sindaco, come può essere a capo dell’intero centro destra? » . La domanda è se questo veleno intossicherà le Regionali, su cui già si discute, e l’assegnazione dei collegi uninominali che diventano davvero una spartizione all’ultimo sangue.
Il centro- sinistra, invece, ha voluto festeggiare dopo aver riconquistato città importanti. Ma, come dicono tutti, le politiche sono un altro girone. Non è scontato che la destra si divida e non è scontato che si vada a votare con lo stesso clima di oggi. Anche se ieri il Mef ha dato buone notizie sul Pil del secondo trimestre ( a fine anno si potrebbe superare la stima del 3,1%), bisognerà fare i conti con l’impatto dell’inflazione e di una guerra che potrebbe arrivare fino alla primavera 2023. Situazione di cui è ben consapevole Draghi che ha chiesto al vertice Ue di arrivare a decisioni drastiche per evitare che i populismi riprendano quota. Ecco, il problema di Letta è quello, la resurrezione dell’onda populista e infatti ieri già parlava di « agenda sociale » . Molto più che un campo largo sfilacciato, dei 5 Stelle in crisi, la minaccia più grande è che ritorni una versione di quella spinta vista nel 2018, magari con nuovi interpreti. La destra riuscirebbe a cavalcarla ma non il Pd che si è messo sulla linea di Draghi. Sempre che i nemici non se li ritrovi in casa, con Conte.