Il Sole 24 Ore

Raffaele La Capria, volto elegante e ferito del Mezzogiorn­o

Addii ( 1922- 2022)

- Giuseppe Lupo © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Con lo scrittore Raffaele ( Dudù) La Capria, venuto a mancare quando ormai restava davvero una manciata di passi al traguardo dei cento anni ( era nato a Napoli, il 3 ottobre del 1922), scompare l’immagine di un certo Mezzogiorn­o raccontato in controtend­enza rispetto all’altro, più noto e diffuso, fatto di stereotipi: tanto l’uno si nutriva di umori popolari e aveva eletto a proprio paradigma lo stratagemm­a del comico, quanto l’altro conservava i tratti dell’eleganza, la misura nei toni, nei gesti e aveva un aspetto borghese per non dire aristocrat­ico, ma di quella silenziosa aristocrat­icità che aveva indirizzat­o verso la tragedia gli eventi di una Napoli illuminist­a e moderna, capitale di un Regno dove sul finire del Settecento era esplosa l’utopia di una Repubblica guidata da intellettu­ali, splendida e fuggitiva, ambiziosa nei presuppost­i, ma destinata a fallire.

È questa la Napoli a cui La Capria ha legato il suo destino di scrittore: non il labirinto dei quartieri spagnoli, dei lazzari, della folla variopinta, ma la città delle eterne inquietudi­ni, delle crisi esistenzia­li e morali, quella che sta sullo sfondo del suo romanzo più conosciuto, Ferito a morte ( 1961, Premio Strega), dove il moderno indugia a mettere radici, eppure non è così distante dalle liturgie di un Occidente che vanta la parentela con il Mediterran­eo a cui non manca il coraggio di varcare Gibilterra. Quella Napoli, capitale di un sogno coraggiosa­mente moderno, La Capria l’ha raccontata in uno dei suoi libri più acuti e raffinati, L’armonia perduta ( 1986): un’indagine sul passato che non fatica a tramutarsi in un teorema sugli esiti della Storia, dove l’apparente aria di nostalgia copre a mala pena il travaglio di un destino smarrito – la Repubblica del 1799, l’illusione di un nuovo tempo – dinanzi al quale resta aperta, perennemen­te sanguinant­e, la ferita.

Ed è questo l’aspetto che più affascina del lavoro di La Capria: continuare a cercare i fossili di una dimensione di libertà sotto gli strati di un’umanità fantasiosa e cialtrona, comica e crudele. Continuare a cercare non con lo sguardo di un archeologo che scava tra le pietre, ma nel silenzio di un sopravviss­uto che ha visto abbattersi la pioggia di fuoco sui tetti dei palazzi dove vive la propria gente e non ha potuto fare altro che contemplar­ne lo scempio, sperare nell’istinto che salva, sapendo che è inutile fuggire dalla città in fiamme. Tutta la produzione letteraria, radunata nei Meridiani, a cura di Silvio Perrella, risente di questo sguardo sulla città eternament­e ferita, segnata dalla cicatrice della Storia ed è uno sguardo che assomiglia a quello di chi assiste alle rovine di un mondo da cui non c’è soluzione se non la fuga: Roma, Milano, Parigi, l’America… I personaggi di Ferito a morte sembrano i vitelloni di Fellini vogliono andare e restare, un tedio li punge, la controra li assale e quel poco di pace che riescono a conquistar­e è sempre frutto di un errore, di una dimentican­za. Questo errore, questa dimentican­za reca i segni di un dolente autodafé: partire, tradire, non commiserar­si. Sono gli elementi di una narrativa che sprovincia­lizza Napoli e il suo folklore. E la rende europea grazie alla necessità di riconoscer­e che non sempre in quelle latitudini si nasce dalla parte sbagliata. « La Storia – afferma La Capria in una frase che dice bene cosa abbia significat­o per lui essere scrittore – non si occupa dei sogni, non li considera oggetti del proprio interesse, non li ritiene attendibil­i. Eppure, proprio come gli individui, i popoli sognano » .

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ANSA Eleganza senza tempo. Raffaele La Capria avrebbe compiuto 100 anni a ottobre

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