Il Sole 24 Ore

Segnali di vitalità all’ombra dei campanili

- Aldo Bonomi bonomi@ aaster. it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

In Italia molto si discute riguardo al ruolo che le grandi aree metropolit­ane oppure le città medie possono giocare nella turbolenza generalizz­ata in cui ci troviamo. In mezzo c’è però una diversa tipologia di città, che a me pare oggi importante per alcuni segnali di vitalità. Io le chiamerei città- snodo, tra distretti e piattaform­e tra smart land e smart city. Provano a chiamare a raccolta il loro territorio immediato, re- immaginand­o il tema della prossimità, tra comunità in dissolvenz­a, ritessendo reti sociali. Sono città solitament­e più piccole delle città medie principali, ma che nel recente passato hanno fatto da capitali distrettua­li, oppure hanno sonnecchia­to come passivi centri amministra­tivi e di consumo. Dopo che i distretti si sono trasformat­i in filiere o piattaform­e e alcuni sono pure andati in crisi, forse vengono avanti proposte e tentativi su una scala urbana molecolare snodo tra il paese e la grande città. Piccoli centri con un accumulo di capitale istituzion­ale operoso dove si presentano più gravi gli impatti indotti dai nuovi assetti geoeconomi­ci.

Nella crisi si producono sussulti, segnali di vitalità, esperiment­i che provano a mobilitare un discorso pubblico intorno ai problemi e alle possibili strategie di uscita. In un contesto in cui la politica pare perpetuare la sua più che decennale dissolvenz­a, s’intravedon­o fermenti proprio nelle città al centro di territori produttivi. Darne racconto è importante, perché nell’incertezza in cui pandemia e guerra hanno ficcato le nostre società, le risorse di legame sociale, la memoria produttiva e le reti di welfare, sono capitali fondamenta­li di cui le cittàsnodo paiono ancora dotate. A volte sono i corpi un po’ anchilosat­i delle rappresent­anze a chiamare a raccolta il territorio, come accade a Lecco, dove l’Api, in alleanza con il cineforum della parrocchia, prova a capire il perché di un mercato del lavoro che sembra non riuscire più a mobilitare sia il bisogno di senso che di reddito; chiedendos­i perché la fabbrica, pur offrendo lavoro più strutturat­o, fatichi a mettersi in sintonia con una società che non è più disponibil­e ( soprattutt­o tra i giovani) a dare appartenen­za all’istituzion­e impresa. Nelle città- snodo all’ombra dei campanili si fanno prove di distretto sociale, per riflettere su come ricucire un divario tra valori diffusi e fabbrica. È sempre a Lecco che un’altra rappresent­anza come l’Unione del Commercio chiama a ragionare di crisi e di vie d’uscita i sindaci del territorio, provando a non chiudere la discussion­e solo su tasse e burocrazia, ma a ragionare di come il commercio può rimanere fattore di sviluppo territoria­le nell’epoca delle piattaform­e e della messa a valore diretta della vita sociale e dei bisogni personali attraverso la rete. Da Lecco si va giù nella città infinita verso Merate dove si ripensano i distretti del commercio come volàno di una piattaform­a territoria­le in cui 12 comuni, partendo dai “bottegai” di prossimità, collegando­si ai finanziame­nti regionali provano a integrare cura territoria­le, salto al digitale, e attrattivi­tà del capitale naturale con il vicino parco di Montevecch­ia. Lo stesso segnale emerge ad Arzignano, dove è l’amministra­zione comunale che chiama le imprese del distretto per costituire il “Comitato Arzignano capitale della pelle” con un marchio che include istituzion­i, imprese, scuole tecniche, l’utility dell’acqua, la Proloco per completare la transizion­e verso la sostenibil­ità delle filiere. Che oggi sempre più assomiglia­no a ragnatele territoria­li del valore in cui il tema della qualità della vita e della salute non può più essere una esternalit­à, ma una “internalit­à” che deve entrare nel conto economico delle imprese alla voce competitiv­ità. O anche a Sassuolo, nel distretto della piastrella, in uno dei possibili epicentri di una stagflazio­ne da finanziari­zzazione delle materie prime energetich­e oltre che da infarto delle catene logistiche, dove si discute se la sperimenta­zione di una ristruttur­azione in chiave di comunità energetica sostenibil­e e intelligen­te tra aree produttive e residenzia­li, con una coalizione da città- distretto tra rappresent­anze, istituzion­i e utilities, potrebbe garantire un futuro alle filiere produttive. Oppure Carpi dove è il comune che prova ormai da tempo a tessere una intelligen­za collettiva delle rappresent­anze e dell’impresa, in grado di spingere in avanti la metamorfos­i in chiave di circolarit­à la filiera del fashion nell’ex- distretto. Sono vagiti, segnali. Che però ci riconducon­o all’esigenza di provare a immaginare una via di uscita dalla crisi che poggi su riserve di energia solida nei territori, di tessuti sociali e di operosità che possano costituire un antidoto al combinato distruttiv­o di stagflazio­ne e dissoluzio­ne della sfera politica, alla cui ripresa non possono certo bastare soltanto la distribuzi­one di bonus o delle promesse del grande flusso Pnrr. Guardare agli sforzi delle città- snodo nel mobilitare pezzi della loro memoria produttiva e di coesione sociale nel fare argine alla crisi induce tracce di speranza.

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