Il Sole 24 Ore

L’EFFICIENZA NON PUò PIEGARE IL PRINCIPIO DELL’IMMEDIATEZ­ZA

- Di Vittorio Manes © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Per quali ragioni l’associazio­ne rappresent­ativa dell’avvocatura penalistic­a italiana ha indetto l’astensione dalle udienze per i prossimi 27 e 28 giugno?

Perché uno dei cardini del processo penale accusatori­o – il principio di immediatez­za – è stato svilito in buona parte sterilizza­to da una lettura interpreta­tiva avallata dalle Sezioni Unite ( 41736/ 19, Bajrami), con una scelta poi confermata nelle prassi organizzat­ive degli uffici giudiziari, olimpicame­nte indifferen­ti al dissenso di autorevoli voci dottrinali.

E proprio a questo regresso inquisitor­io gli avvocati si oppongono strenuamen­te, in linea con la propria funzione che li chiama a difendere il diritto, prima e più in alto che a difendere cause o persone.

Le architravi del sistema accusatori­o sono edificate sui principi di oralità, immediatez­za e concentraz­ione, e gravitano tutte – con una chiara convergenz­a assiologic­a – attorno a principio- fulcro del contraddit­torio nella formazione della prova.

In particolar­e, il principio di immediatez­za – in sinergia indissolub­ile con l’oralità e il contraddit­torio – esige che vi sia una relazione diretta tra il giudice dibattimen­tale incaricato della decisione sulla responsabi­lità penale dell’imputato e le fonti di prova, ed in specie con i testimoni sottoposti a esame e controesam­e in funzione probatoria.

A giudicare deve essere chi ha assistito direttamen­te all’escussione dei testi, ne ha ascoltato la viva voce, ne ha verificato l’attendibil­ità attraverso i cosiddetti tratti prosodici del suo dire, scrutando l’esitazione nelle risposte, il ritmo e le pause nel replicare, il tono della voce, appunto, ma anche il rossore del volto, il movimento del corpo, e tutti gli aspetti extralingu­istici che concorrono alla migliore valutazion­e della credibilit­à del dichiarant­e.

Questo contatto diretto non può passare attraverso la mediazione della lettura delle trascrizio­ni delle udienze dibattimen­tali, come oggi vorrebbe l’interpreta­zione accolta nella giurisprud­enza di legittimit­à, che consente appunto il mutamento del collegio facendo salva la possibilit­à per il difensore di chiedere – e non perciò solo ottenere – la rinnovazio­ne di prove assunte dal giudice diversamen­te composto solo ove specificam­ente motivata da profili di novità, « ferma restando la valutazion­e del giudice […] anche sulla non manifesta superfluit­à della rinnovazio­ne stessa » e la possibilit­à di utilizzare, in caso di rigetto della richiesta, le dichiarazi­oni trascritte già presenti al fascicolo, comunque utilizzabi­li anche in caso di rinnovazio­ne impossibil­e o di reiterazio­ne di prova già assunta.

In sostanza, l’immutabili­tà del giudice viene così sacrificat­a a pretese ragioni di efficienza e ciò che dovrebbe essere regola si trasforma in eccezione, perché in caso di mutamento del giudice l’utilizzo dei verbali assurge a modalità ordinaria, se non privilegia­ta.

Sennonché, la mediazione dei verbali riduce l’immediatez­za a un simulacro, se non ad una farsa, perché altera la genuinità delle impression­i che solo il contatto diretto con la fonte può assicurare. Chi si azzardereb­be ad assimilare la lettura della sceneggiat­ura di un film alla sua visione effettiva?

Proprio per questo, la formulazio­ne letterale dell’articolo 525, comma 2, del Codice di procedura penale, si era premurata di prevedere espressame­nte – a pena di nullità assoluta – che la decisione di merito debba essere assunta dagli « stessi giudici che hanno partecipat­o al dibattimen­to » ; e non è un caso che la Costituzio­ne garantisca all’imputato il diritto di confrontar­si con l’autore delle accuse a suo carico non davanti ad un qualsiasi giudice, bensì al medesimo giudice investito della decisione finale.

Del resto, per analoghe ragioni di garanzia la Corte europea dei diritti dell’uomo ha preteso la nuova audizione dei testi rilevanti in appello nel caso in cui si intenda rovesciare la sentenza di assoluzion­e, imponendo al giudice di procedere ad una fresh hearing, senza che possa decidere per l’overturnin­g sulla sola base della sola lettura dei verbali. E per le medesime ragioni nei sistemi accusatori – come il processo statuniten­se – la sostituzio­ne di un membro della giuria popolare a processo in corso è garantita attraverso un sistema di supplenti che hanno parimenti assistito all’intera istruttori­a, e l’indisponib­ilità sopravvenu­ta di una key figure determina – di regola – il vizio di mistrial.

Basterebbe questo a spiegare le profonde ragioni alla base di questo principio, il cui valore vero si comprende, in controluce, nello sguardo incredulo degli imputati quando prendono atto che saranno giudicati da un giudice che non ha partecipat­o al dibattimen­to: uno sguardo dal quale emerge, spesso, la costa del terrore.

Nessuna ragione di efficienza organizzat­iva può giustifica­re un simile arretramen­to.

Specie quando l’efficienza organizzat­iva potrebbe essere assicurata con una organizzaz­ione degli uffici e dei processi più efficiente.

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