Mes, Giorgetti apre ma se cambia il Patto Ue
Bilaterale tra il ministro e il presidente dell’Eurogruppo « Diponibilità al dialogo »
L’eterna questione sospesa della ratifica del nuovo Mes insegue Giancarlo Giorgetti a Niigata, la città giapponese che sta ospitando il G7 Finance con i ministri dell’Economia e i governatori delle banche centrali. La pronuncia italiana, unico tassello mancante per far entrare in vigore la riforma del Trattato, è stata al centro di un bilaterale fra il titolare dei conti italiani e il presidente dell’Eurogruppo, l’irlandese Paschal Donohoe.
La posizione italiana è quella nota, e poggia sull’ipotesi negoziale di una sorta di scambio fra lo sblocco del Mes e un’iniezione di golden rule nella riforma delle regole fiscali comunitarie per allargare gli spazi per gli investimenti. Le novità sono nei toni, e nel loro inserimento in una nota del Mef in cui da un lato si registra che « Giorgetti ha rinnovato la disponibilità al dialogo sul trattato » e dall’altro si spiega che questo dialogo deve muoversi « in una cornice di modifiche già avanzate dall’Italia » per la riforma del Patto di stabilità e crescita, « in primis l’esclusione temporanea di alcune spese per gli investimenti in particolare in ambito digitale e per la transizione green, compresi quelli del Pnrr » .
Gli ostacoli da superare sono due. Il primo è tutto italiano e riguarda l’intesa ancora da trovare nella maggioranza, percorsa da ampi settori nei quali il Mes è una sorta di ricettacolo di tutti i mali europei. Il sentiero è piuttosto stretto se si ricorda che tutta la maggioranza ha approvato il 30 novembre una risoluzione alla Camera in cui si impegna il governo « a non approvare il disegno di legge di ratifica della riforma del Trattato istitutivo del Mes alla luce dello stato dell’arte della procedura di ratifica in altri Stati membri e della relativa incidenza sull’evoluzione del quadro regolatorio europeo » . Nel frattempo « lo stato dell’arte della procedura di ratifica in altri Stati membri » si è completato con il via libera finale della Germania, prima “indiziata” di essere alla base del pressing su Roma perché bisognosa dei soldi del Mes per le proprie banche anche se è stato il penultimo Paese a ratificare la riforma e anche se i tassi di interesse dei Bund sono quantomeno competitivi con quelli del Salva- Stati, e con l’ok in tempi record arrivato dalla Croazia a inizio marzo, due mesi dopo l’ingresso di Zagabria nell’Eurozona.
La seconda incognita è europea. Perché non è scontato che il piede italiano nella porta del Mes aumenti la forza negoziale dell’Italia nella richiesta di dare aria alla spesa per investimenti all’interno della griglia delle regole fiscali.
Dalla volontà effettiva di venirsi incontro dipende il successo della strategia italiana. E sul tema Donohoe ieri non ha voluto chiudere del tutto la porta ma nemmeno si è spinto a qualche concessione. « Vogliamo continuare a negoziare con il Governo italiano e il suo Parlamento » , ha spiegato, ricordando però che « il trattato è stato ormai ratificato da tutti i membri dell’Eurozona » , e che senza il via libera di Roma « nessun altro Paese sarà libero di accedervi se ne avesse bisogno in futuro » ; questione che prima di tutto riguarda ovviamente il nuovo backstop bancario chiamato a intervenire in caso di grave crisi di un istituto di dimensioni tali da non essere gestibile con le sole risorse del fondo di risoluzione unico.