In Thailandia il regime rischia una perdita secca
La Thailandia va al voto oggi e il regime nato dal golpe dei militari del 2014 rischia di subire una pesante sconfitta, anche se difficilmente perderà il potere.
Il Pheu Thai ( Per la Thailandia), il partito populista vincitore di ogni elezione dal 2001 grazie ai voti delle campagne, due volte cacciato dal governo da colpi di Stato, punta a vincere metà dei 500 seggi in palio alla Camera: la sua leader Paetongtarn Shinawatra, 36 anni, è la figlia dell’ex premier Thaksin Shinawatra, in auto esilio dal 2008 per sfuggire a una condanna per corruzione. Nei sondaggi è salito prepotentemente anche il partito progressista Phak Kao Klai ( Andare avanti), il più radicale nelle richieste di cambiamento del potere dell’élite conservatrice e monarchica, sostenuta dai militari.
Il partito del premier ed ex generale Prayuth Chan- ocha arranca, così come altri movimenti dell’attuale coalizione al potere. Per formare un governo bisognerà però passare dalle Camere riunite e quindi anche dal Senato, interamente nominato dall’alto secondo la Costituzione scritta dai militari. Già nel 2019 il voto dei 250 senatori fu decisivo per dar vita al governo Prayuth, con l’aiuto di molti partiti minori. Stavolta, il tracollo nella popolarità del premier - e di altri esponenti della coalizione di governo - rende più difficile l’impresa di arginare l’ascesa delle opposizioni, dei Shinawatra e dei progressisti.
L’esito più probabile, secondo gli osservatori, è un governo di coalizione che metta assieme il Pheu Thai e alcuni esponenti dell’attuale regime, in particolare il vicepremier, l’ex generale Prawit Wongsuwon.