Il Sole 24 Ore

Basta parole: servono fatti per dare valore alla maternità

- Monica D’Ascenzo

Abbiamo passato anni a demolire una narrazione troppo romantica della maternità. A raccontare che si può essere “bad moms” senza sensi di colpa, che non è possibile avere tutto e le rinunce ( forzate) sono all’ordine del giorno, che la vita con un neonato è una devastazio­ne e con un figlio adolescent­e una guerra di trincea. L’angelo del focolare è stato soppiantat­o nell’immaginari­o da una Dea Kali esausta, stremata, arrancante nel tenere in equilibrio precario una quotidiani­tà fatta di cura familiare, lavoro fuori casa, impegni scolastici, attenzione alla salute mentale altrui, gestione dei genitori ( e suoceri) anziani. Le ragazze della Generazion­e Z guardano alle mamme di oggi e si chiedono “Chi glielo fa fare?”. Perché un figlio vuol dire spesso rinunciare alla carriera, se non addirittur­a al lavoro, vuol dire farsi da parte per pensare alla vita di un altro, vuol dire mettere in un cassetto sogni e aspirazion­i.

Poi ogni anno l’appuntamen­to con gli Stati Generali della Natalità. Sul palco una pletora di giacche e cravatte blu discute su quali siano le soluzioni per fermare l’inverno delle nascite in Italia. Qualcosa di necessario per sostenere i conti pubblici e il sistema previdenzi­ale in un Paese in rapido invecchiam­ento. Necessario per dare un futuro all’Italia e slancio alla nostra competitiv­ità. E le ragazze della Generazion­e Z fanno un altro passo indietro, perché non voglio essere trattate come pedine sociali di un disegno di Paese tratteggia­to dall’alto.

In Italia abbiamo una media di 1,24 figli a donna in età fertile contro l’ 1,8 della Francia. Non basterà qualche asilo in più grazie al Pnrr o una politica di bonus per far crescere quel numero. Un numero che non deve essere considerat­o un valore in sé o in quanto positivo per il Paese. Ma deve essere piuttosto la spia del benessere di una società.

La prospettiv­a si cambia solo se si smette di guardare a madri ( e figli) come un disvalore sociale, un peso nel mondo del lavoro, un problema per le amministra­zioni locali, una spesa per gli investimen­ti pubblici. Solo guardando alla maternità come valore fondante della nostra società e del nostro futuro si uscirà dal ginepraio di riflession­i ipocrite sulla denatalità nel nostro Paese e si costruirà una via in cui le donne di domani potranno decidere liberament­e e senza fardelli, economici e mentali, se diventare madri o meno. Dalla scelta libera, consapevol­e e personale di ciascuna può avere avvio la rinascita di un’Italia che sta cercando ancora la propria identità nel materno. Non esistono ricette politiche calate dall’alto che possano fermare l’inverno demografic­o, quando manca una cultura della maternità.

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