Il Sole 24 Ore

Nel nome della madre il giudice ha superato il legislator­e

Manca ancora una cornice legislativ­a per l’attribuzio­ne del doppio cognome ai figli così come una legge per le detenute madri. La spinta in avanti di Consulta e Corte di cassazione

- Patrizia Maciocchi

Un anno fa la Consulta ha archiviato la regola del patronimic­o, consideran­dola in contrasto con il principio di uguaglianz­a fra i genitori. Sempre nel 2022 il giudice delle leggi, in un caso di prolungata detenzione del genitore, per evitare un « grave pregiudizi­o al figlio minore » ha previsto il ricorso alla detenzione domiciliar­e speciale, come misura alternativ­a per garantire la finalità di cura. Due passi importanti che restano in attesa di essere completati da un intervento legislativ­o che, in entrambi i casi, non sembra prossimo.

Per quanto riguarda la legge sul doppio cognome le proposte di legge presentate all’inizio di questa legislatur­a, subiscono un rallentame­nto che mal si concilia con il duplice invito formulato dalla Corte costituzio­nale al legislator­e con la sentenza 131/ 2022. Una richiesta di intervento per impedire che l’attribuzio­ne del cognome dei due genitori comporti nel tempo un meccanismo moltiplica­tore. Rimessa nelle mani del legislator­e anche la valutazion­e dell’interesse del figlio a non avere un cognome diverso rispetto a quello di fratelli e sorelle.

Nella XVIII legislatur­a si era avviato l’iter di un testo unificato, partendo da cinque disegni di legge simili tra loro, per abolire la “supremazia” del patronimic­o affermata dall’articolo 262 del Codice civile, “caduto” dopo la sentenza 131. Con la nuova legislatur­a, a ottobre 2022, è stato presentato al Senato il Disegno di legge n. 2 sulla scia, con qualche modifica, del precedente testo unificato. Un Ddl che, in linea con la Consulta, prevede, in caso di disaccordo dei genitori il cognome di entrambi. E, per evitare cognomi diversi nella stessa famiglia, precisa che i figli degli stessi genitori coniugati, nati successiva­mente e, dunque registrati dopo il primo figlio, portino lo stesso cognome di quest’ultimo. Per scongiurar­e “l’effetto Messico” con l’aggiunta di cognomi si prevede che il figlio, a cui sono stati attribuiti quelli dei due genitori, possa trasmetter­ne ai propri uno solo.

In questo quadro, c’è da registrare anche quello che sembra, almeno al momento, uno scarso entusiasmo per l’opportunit­à offerta con la sentenza della Consulta. Sarebbero infatti, in media, solo il 17% delle coppie a coglierla, mentre il resto dei genitori seguirebbe ancora la tradizione. A guardare avanti è invece, come sempre, il diritto vivente. Per la Cassazione infatti ( sentenza 9293), anche dopo il riconoscim­ento della paternità biologica, la figlia ha il diritto di conservare il nome della madre senza aggiungere quello del padre, che deve però provvedere al mantenimen­to, compresi gli arretrati per gli anni di “latitanza”.

L’impasse sul fronte legislativ­o c’è anche per quanto riguarda le detenute madri e il diritto dei figli a non stare in carcere. Il 23 marzo scorso i parlamenta­ri del Pd, dopo l’introduzio­ne di modifiche restrittiv­e, hanno ritirato le firme alla proposta di legge a favore delle detenute madri, che aveva ottenuto il via libera della Camera nel Governo Draghi. È quindi decaduto il provvedime­nto destinato a intervenir­e, a tutela del rapporto madri- figli minori, sul Codice penale e di rito penale, oltre che sull’ordinament­o penitenzia­rio e sulla legge che regola la detenzione domiciliar­e delle madri. Secondo i dati del Dipartimen­to dell’amministra­zione penitenzia­ria, aggiornati al 24 marzo 2023, le mamme recluse sono 23 con 26 bimbi al seguito. Mentre le mamme detenute, secondo l’associazio­ne Antigone, sono circa 1.400.

L’idea alla base della proposta era di costruire più case famiglia con i fondi già stanziati - circa un milione e mezzo di euro - e togliere le donne incinte e con figli minori di 6 anni anche dagli istituti a custodia attenuata. Dopo il ritiro, la Lega ha depositato una sua proposta di legge, che chiude la porta al differimen­to in automatico della pena per le donne condannate incinte. Ma anche in questo caso il giro di vite, si scontra con i principi affermati dalla giurisprud­enza di legittimit­à. Con due sentenze la Cassazione ha affermato il diritto delle detenute madri a non stare in carcere, quando hanno figli di età minore ai 10 anni. È del 20 aprile 2023 la sentenza 16820, con la quale i giudici di legittimit­à hanno escluso che alla mamma di un bimbo di un anno, si possa negare il differimen­to della pena, sulla consideraz­ione che i domiciliar­i possono essere « un importante strumento di crescita per la giovane donna » . Con la decisione 18243 del 2 maggio scorso, la Suprema corte ha escluso il passaggio in carcere, per la madre con un figlio di meno di 10 anni, anche in caso di condanna per reati ostativi. Una tutela piena in attesa di riscontri.

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IMAGOECONO­MICA Punti irrisolti. L’impasse sul fronte legislativ­o anche per quanto riguarda le detenute madri e il diritto dei figli a non stare in carcere

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