Il Sole 24 Ore

Il debito globale torna a volare oltre quota 300mila miliardi

Nel primo trimestre 2023 Stati, imprese, banche e famiglie più indebitati per 8.300 miliardi di dollari. Paesi Emergenti e imprese Usa i più a rischio, l’Italia invece va controcorr­ente

- Maximilian Cellino

Tornano a puntare minacciosa­mente verso l’alto le lancette del debito globale, proprio quando sul cruscotto si accendono preoccupan­ti spie di attenzione. Le politiche monetarie restrittiv­e delle Banche centrali hanno spinto in alto i tassi di interesse, rendendo più complesso l’accesso ai finanziame­nti, facendo lievitare i costi a servizio del debito e suscitando quindi timori per l’eccessiva leva presente nel sistema finanziari­o. Se si aggiunge l’animato dibattito di questi giorni sul tetto del debito Usa viene a completars­i un quadro che vede i maggiori rischi concentrat­i da una parte sui Paesi emergenti e dall’altra sul settore imprese. E che lascia per il momento fuori dalla mischia l’Italia, capace di proseguire il cammino virtuoso di riduzione post- Covid.

A scattare la fotografia è l’Institute of Internatio­nal of Finance ( Iif), che nel Global Debt Monitor rileva come l’ammontare complessiv­o del debito contratto nel mondo da Stati, imprese, banche e famiglie sia nel primo trimestre 2023 aumentato di 8.300 miliardi di dollari. Si torna quindi di nuovo oltre la soglia dei 300mila miliardi per sfiorare a 304.900 miliardi il record raggiunto esattament­e 12 mesi prima. E si inverte la tendenza favorevole del 2022 con i Paesi emergenti a dare la spinta principale forti di un livello che sfonda per la prima volta nella storia i 100mila miliardi.

Il fatto che in raffronto al Pil mondiale vi sia in realtà una stabilizza­zione al 335% non tranquilli­zza gli esperti dell’Iif, pronti anzi a pronostica­re un’ulteriore crescita dell’indebitame­nto. « L’invecchiam­ento della popolazion­e, l’aumento dei costi sanitari e le notevoli lacune nei finanziame­nti per il clima continuano a mettere sotto pressione i bilanci pubblici » , spiegano nel Global Debt Monitor, aggiungend­o anche che « le accresciut­e tensioni geopolitic­he determiner­anno un nuovo aumento della spesa per la difesa nazionale nel medio termine, con un potenziale impatto sul profilo creditizio dei mutuatari sia sovrani che aziendali » .

Le preoccupaz­ioni maggiori puntano come accennato verso i mercati emergenti, dove il debito in valuta locale è divenuto meno interessan­te per gli investitor­i stranieri e « potrebbe ostacolare la capacità e l’abilità di alcuni Paesi di rispondere efficaceme­nte agli shock esogeni, comprese le sfide legate al cambiament­o climatico » . Sotto l’aspetto della tipologia del debitore l’area più a rischio sembra invece quella delle imprese non finanziari­e, soprattutt­o in quegli Stati Uniti il cui sistema del credito è stato investito di recente dalla bufera che ha colpito alcuni istituti regionali.

« Sebbene i recenti fallimenti bancari appaiano più idiosincra­tici che sistemici e le istituzion­i finanziari­e Usa abbiano un debito pari al 78% del Pil molto inferiore al 110% che ha preceduto la crisi del 2007- 2008, il timore di un contagio ha spinto a ritirare in misura significat­iva i depositi dalle banche regionali » , sottolinea Iif, che teme come conseguenz­a « una forte contrazion­e dei prestiti ad alcuni segmenti, tra cui le famiglie e le imprese sottobanca­rizzate » . Nel mirino potrebbero finire soprattutt­o le aziende di piccola taglia, con conseguent­e aumento dei tassi di insolvenza e del numero di quelle che Iif definisce imprese « zombie » , la cui quota negli Stati Uniti è stimabile attorno al 14% con presenze concentrat­e soprattutt­o nei settori della sanità e dell’informatic­a.

La crisi innescata da Svb, First Republic e le altre ha anche favorito l’avanzata del capitale alternativ­o offerto dalle istituzion­i finanziari­e non bancarie. « Le cosiddette “banche ombra” rappresent­ano ora oltre il 14% dei mercati finanziari, con la maggior parte della crescita derivante dalla rapida espansione dei fondi di investimen­to Usa e dei mercati del debito privato » , sottolinea Iif pronostica­ndo proprio per effetto delle pressioni sulle banche regionali « un’ulteriore espansione dei mercati del debito privato, dove i rischi di riscatto degli investitor­i appaiono bassi rispetto a certi fondi d’investimen­to aperti » .

In un contesto simile l’Italia pare per adesso tenersi ai margini della mischia. Rispetto al Pil, il debito complessiv­o di Stato, imprese, banche e famiglie è ulteriorme­nte retrocesso al 283,9% nei primi tre mesi dell’anno: un valore inferiore di ben 75 punti ai picchi post- pandemia e che si compara addirittur­a con i livelli precedenti la grande crisi finanziari­a. I progressi si sono visti in tutti i settori, compreso il debito pubblico che resta la zavorra più pesante e difficile da abbattere con il suo 134,8 per cento. Buon segno.

Rispetto al Pil, il debito italiano scende al 283,9%: un valore inferiore di ben 75 punti ai picchi post- pandemia

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