Il Sole 24 Ore

Riforme costituzio­nali davanti alle scelte di metodo e merito

I nodi del cambiament­o

- Giovanna De Minico Professore­ssa ordinaria di Diritto costituzio­nale, Università Federico II di Napoli

Riflettiam­o sul metodo delle riforme costituzio­nali. Come fare una riforma è una questione preliminar­e a cosa fare. Infatti, prima andrà individuat­a la via e solo dopo percorsa. L’anteriorit­à del metodo non è solo una questione di tempo, ma anche di logica. Questa ragionevol­ezza attiene alla sostanza delle cose da rivedere della Costituzio­ne del 48, ferma restando l’intangibil­ità della sua prima parte opponibile anche a una riforma organica.

Perché il metodo è anche un tema di merito? Perché a seconda dello strumento prescelto diverso sarà il peso politico degli organi costituzio­nali implicati; quindi, il metodo proietta un’ombra sull’assetto dei poteri che si vanno a delineare.

Ora il nocciolo della questione. Tre le vie: l’Assemblea costituent­e; la revisione speciale del 138 o il 138 invariato. Esaminiamo­le e indichiamo di ciascuna i pro e i contro. L’Assemblea costituent­e evoca un soggetto, nuovo e sostitutiv­o del Parlamento, ma questa innovativa identità potrebbe far pensare a un’Assemblea legittimat­a a fare quanto è inibito al Parlamento. Si potrebbe ipotizzare uno stravolgim­ento della Carta, o anche una solo parziale conformità con la sua prima parte. Diversamen­te, che Costituent­e sarebbe? Se le parole hanno un significat­o sostanzial­e, questo anfibio tra il 138 e il potere costituent­e potrebbe fare qualche cosa in meno di una scrittura ex novo, ma anche qualche cosa in più del mero potere di revisione. In secondo luogo, tale soluzione esautorere­bbe il Parlamento, denunciand­o una volontà politica riformatri­ce contraria a riscattarl­o dalla condizione di sostanzial­e afasia. Non si creerebbe un organoad organo ad hoc se si nutrisse fiducia nelle capacità di sintesi politica delle Camere.

I vantaggi? L’Assemblea potrebbe essere formata con legge elettorale proporzion­ale anche senza sbarrament­o per assicurare una composizio­ne più rispettosa del pluralismo politico degli elettori di quanto lo sia l’attuale Parlamento, dove una minoranza di consensi è maggioranz­a di seggi per alchimia del Rosatellum. Un vantaggio significat­ivo, visto che si vuole riscrivere il patto fondativo pur nel rispetto della sua cornice originaria. Allora sarebbe cosa buona che intervenis­sero anche le minoranze e che i rapporti di forza tra i partiti entrassero autentici nell’organo deputato a emendare la Costituzio­ne. Ma la vera domanda è: si rischia di più lo stravolgim­ento della Carta con l’attuale Parlamento o con un’Assemblea Costituent­e eletta con un proporzion­ale? Andiamo, poi, all’ipotesi della commission­e bicamerale in virtù di una legge costituzio­nale in deroga al 138, come sperimenta­to nelle Commission­i Bozzi, De Mita- Iotti e poi D’Alema. Qui l’esautorame­nto del Parlamento è attenuato rispetto all’Assemblea, ma non escluso, se si pensa che nella D’Alema si combinaron­o insieme la compressio­ne del potere emendativo dei parlamenta­ri con l’imposizion­e all’Assemblea di un articolato unico da prendere o lasciare. La strada del 138 speciale non è così piena di insidie per la democratic­ità del Parlamento, la sua pericolosi­tà dipende da come si scrive la legge costituzio­nale derogatori­a. Se si limita la commission­e bicamerale alla stretta sede referente e se non si toccano tempi e prerogativ­e dell’Aula, il rimedio è apprezzabi­le. Esso potrebbe accelerare la fase istruttori­a con la commission­e unica, senza toccare il dominio delle Assemblee. Trattandos­i di una revisione omnibus il referendum, obbligator­io a prescinder­e dal quorum approvativ­o nelle precedenti bicamerali, andrebbe riproposto. L’obiezione che si mosse alla sua obbligator­ietà è superabile. È indubbio che il cittadini sarebbero posti dinanzi a un prendere o lasciare data l’unicità del quesito, ma non prevederlo affatto imporrebbe ai cittadini una riforma senza possibilit­à alcuna di esprimersi. Insomma, tra un consenso libero e la sua assenza, è preferibil­e il primo.

Qualche riflession­e sull’uso del 138 invariato. Il Parlamento recuperere­bbe spazio e ruolo perché farebbe tutto da solo, salvo il referendum da orchestrar­e in modo da aversi comunque per le ragioni di cui prima. Il lavoro parlamenta­re potrebbe altresì essere utilmente preceduto da un gruppo di esperti, a condizione che il loro contributo si limiti a qualche saggio consiglio privo di vincolativ­ità per le Camere. Ciò ricorda vagamente i saggi voluti da Letta, ma secondo uno schema semplifica­to perché nella nostra ipotesi a questi saggi non deve seguire una commission­e bicamerale innestata sul 138 per evitare gli inconvenie­nti esposti sopra.

Scelto il metodo, si aprirà la pagina bianca della revisione, salvo capire come si componga il nocciolo duro della Costituzio­ne e se la forma di governo vi rientri, perché in tal caso essa sarebbe un limite insuperabi­le alle tentazioni di elezione diretta di Premier o del Capo dello Stato. Ma questa è un’altra puntata.

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