I neo residenti con il rischio plusvalenze delle shell company
Le implicazioni della normativa in arrivo rispetto alla flat tax
In attesa di vedere l’evoluzione dell’iter di approvazione della cosiddetta Unshell directive, gli operatori si stanno interrogando sulle eventuali implicazioni pratiche e sulle iniziative da intraprendere. Uno degli aspetti meno trattati riguarda l’interazione con il regime dei neo- residenti previsto dall’articolo 24- bis del Tuir.
Si pensi al caso di una persona fisica che trasferisce la propria residenza fiscale in Italia da uno Stato
X. Si ipotizzi che tale persona detenga in Lussemburgo una società holding con una sostanza economica non idonea ad escluderne la qualificazione in via prospettica come shell company e che quest’ultima detenga a sua volta partecipazioni in società situate in altri Stati membri Ue.
Ai fini del regime dei neo- residenti, la holding lussemburghese viene generalmente considerata, anche tramite interpelli ad hoc, come una società “non interposta” ed effettivamente residente all’estero. Ciò in ragione sia della presenza di una struttura locale, ancorché minima, sia dell’assenza di ogni intento elusivo derivante dalla sua localizzazione nello Stato estero ( la società è spesso costituita diversi anni prima dell’ingresso in Italia del socio e addirittura dell’entrata in vigore del regime dei neo- residenti). Il riconoscimento della holding lussemburghese come “non interposta” ed effettivamente residente all’estero vale tuttavia solo ai fini del regime dei neo- residenti e non implica di per sé la disapplicazione automatica della Unshell directive. I passaggi per richiedere tale disapplicazione sono i seguenti: 1 la holding lussemburghese comunica alle autorità fiscali locali di essere una shell company ( se non rispetta i requisiti minimi di sostanza economica previsti); 2 tale holding può chiedere alle autorità fiscali locali di disapplicare la disciplina superando la presunzione disposta dalla proposta di direttiva o chiedendo l’applicazione dell’esimente di cui all’articolo 10;
3 tale esimente presuppone che l’interposizione della holding lussemburghese non impatti la fiscalità del socio di tale holding. L’analisi dovrebbe riguardare tutte le giurisdizioni degli Stati membri in cui sono localizzate le società partecipate dalla holding e non essere limitata esclusivamente allo Stato di residenza del socio. In tale contesto, ad esempio, gli eventuali dividendi erogati dalle diverse società partecipate alla holding lussemburghese potrebbero subire una tassazione più onerosa nello Stato della fonte in assenza della holding.
Qualora la holding lussemburghese venisse considerata una shell company e l’esimente prevista dalla proposta di direttiva non fosse concessa, quali implicazioni deriverebbero in Italia in capo al neo- residente? Si pensi al caso in cui tale holding venda una partecipazione totalitaria in una società estera nei primi cinque anni di neoresidenza in Italia del socio: ai fini italiani, in caso di risposta positiva nel contesto dell’istanza di interpello, la plusvalenza risultante non verrebbe imputata al socio neo- residente in Italia, bensì alla holding lussemburghese. Sulla base della proposta di direttiva, tale plusvalenza sarebbe invece imputabile al socio italiano con la conseguente tassazione in caso di partecipazioni qualificate realizzate nei primi cinque anni di residenza. La valutazione complessiva di tale situazione non può che essere rinviata al momento di effettiva approvazione della Unshell directive e di emanazione delle relative disposizioni di attuazione, ma è chiaro che alcune implicazioni pratiche sono ancora lontane dall’essere semplicemente prefigurate.