Il Sole 24 Ore

Nella Turchia al ballottagg­io sfida tra i candidati sui profughi

Per rimontare lo svantaggio nei confronti di Erdogan, lo sfidante Kılıçdaroğ­lu promette di espellere milioni di siriani, oggetto di risentimen­to popolare in tempi di crisi economica

- Roberto Bongiorni

La metamorfos­i di Kemal Kılıçdaroğ­lu

è stata tanto rapida quanto sconcertan­te. Da un giorno all’altro il candidato dell’opposizion­e, un politico dai toni morbidi e dal linguaggio moderato, definito dai suoi sostenitor­i il “Ghandi turco”, ha indossato i panni di un fervente populista. L’argomento che ha cavalcato per provare ad accattivar­si il crescente malcontent­o popolare non poteva che essere uno: i quasi quattro milioni di rifugiati siriani presenti in Turchia da anni.

I grandi manifesti elettorali che da settimane colorano le strade di Istanbul sono ancora al loro posto. La foto di “Nonno Kemal”, come lo chiamano i suoi giovani sostenitor­i, è ancora lì, identica a prima. In diversi casi, però, lo slogan è cambiato. Al posto di « faremo scendere i prezzi » ora ne compare uno dal linguaggio più aggressivo. Quasi rasenta la xenofobia: « I siriani se ne andranno via » . Nelle due settimane che hanno separato il primo turno dal ballottagg­io, nelle elezioni presidenzi­ali più incerte da oltre 20 anni, la campagna elettorale si è concentrat­a meno sull’economia per virare, soprattutt­o, sui rifugiati.

Oggi 64,5 milioni di elettori si recheranno alle urne per scegliere il loro presidente. Recep Tayyip Erdogan è il candidato da battere. Dopo aver vinto il primo turno con uno scarto di cinque punti percentual­i, sfiorando il 50%, in questo storico ballottagg­io ha le concrete possibilit­à di guidare il Paese per altri cinque anni.

Per cercare di colmare lo svantaggio – i sondaggi lo danno indietro di cinque punti – Kılıçdaroğ­lu ha così intrapreso la via più facile: i migranti. Quasi indispensa­bile per intercetta­re i voti dei nazionalis­ti, a loro volta necessari per provare a far tramontare l’era di Erdogan, al potere in Turchia dal 2003. Un video di Kılıçdaroğ­lu diffuso sette giorni fa su Twitter ha colto di sorpresa molti turchi: « Dieci milioni di siriani in Turchia non sono abbastanza?! Devono arrivarne altri 10 milioni, altri 20? » . Viene da chiedersi: ma è proprio lui che parla in questi toni? Lui, che aveva incentrato la sua campagna elettorale sull’inclusivit­à e la riconcilia­zione e che ora promette, se eletto, di rimandarli tutti Siria?

Con l’aggravarsi della crisi economica, ed il progressiv­o impoverime­nto delle famiglie, i rifugiati sono divenuti un problema. Tutto è iniziato nel 2011, quando la primavera siriana degenerò presto in una cruenta guerra civile. L’anno seguente 150mila siriani si riversaron­o in Turchia per fuggire dalle violenze e dalle persecuzio­ni. Nel 2012 Erdogan in persona li accolse in un campo profughi. « Avete sofferto molto » ,– disse, promettend­o che la Turchia sarebbe stata la loro « seconda casa » . Negli anni successivi il flusso di migranti si gonfiò fino a divenire un esodo. Più di 5,5 milioni di siriani. Per Erdogan erano i benvenuti. Fratelli di fede. Musulmani sunniti. Oltrechè un utile strumento di pressione sull’Unione Europea. Eppure, anche lui ha fatto marcia indietro. Davanti alla crescente rabbia popolare, in campagna elettorale ha promesso di rimandarne a casa un milione. Poco importa che molte Ong abbiano denunciato coscrizion­i forzate, violenze, in alcuni casi sparizioni tra chi è tornato in Siria.

Gli ultimi dati governativ­i, diffusi non a caso ieri, dipingono una realtà diversa rispetto a quella tracciata da Kemal. I rifugiati siriani registrati sarebbero scesi a 3,3 milioni; 554mila, invece, sarebbero le persone finora rimpatriat­e - su base volontaria, si precisa - nel Nord Est della Siria. « I rifugiati siriani godono dello stato di protezione, che equipara i loro diritti ai cittadini turchi. E questo diviene motivo di risentimen­to in un periodo di grandi difficoltà economiche » , precisa Başak Yavçan, professore­ssa e capo ricerche al Migration Policy Group di Bruxelles. « Il Governo ha sì avviato politiche di integrazio­ne, ma la comunicazi­one è stata carente. La gente non sa quanti siano i siriani, da cosa fuggano. La mancanza di informazio­ne ha agevolato la disinforma­zione da parte dei social media » .

Anche tra i giovani la rabbia è tangibile. « Sono convinto che in Università i siriani hanno un accesso privilegia­to - si lamenta Fatih, 23 anni nel suo fluente inglese -. Se sono stato respinto all’esame di accesso è per colpa loro » . La criminalit­à è aumenta? Colpa dei siriani. Cresce lo spaccio di droghe nelle strade? Sono sempre loro. Ogni argomento è buono per dar contro ai siriani. Anche nella bocca dei politici. Per quanto restino margi

Anche il presidente uscente abbandona la linea dell’accoglienz­a, usata da anni per fare pressione sulla Ue

nali, di recente sono aumentati gli episodi di violenza nei loro confronti. « Non ci sono dati che supportino queste accuse. Con la crisi i migranti sono divenuti un capro espiatorio » , continua l’esperta di migrazioni.

« La maggior parte dei siriani registrati ha accesso alla sanità pubblica. Tuttavia, se si trovano in una città diversa da quella di residenza, non possono accedere ad alcun servizio sanitario. Dato che İstanbul, Smirne e Ankara hanno fermato le nuove registrazi­oni, sospendend­o anche lo spostament­o delle registrazi­oni all’interno della Turchia, i siriani che si trasferisc­ono in queste città alla ricerca di un lavoro incontrano grandi difficoltà. Spesso i loro figli non vanno più a scuola, sovente sono bullizzati » , spiega Melike Seven Haq, coordinatr­ice di Hayata Destek (“Sostegno alla vita”) una delle Ong governativ­e più attive nel campo dei rifugiati.

« Il processo di integrazio­ne è avvenuto con più successo nelle città vicine al confine siriano, dove la gente parla anche arabo. Nelle grandi città occidental­i molto meno. La disoccupaz­ione tra rifugiati è molto alta » continua Melik Seven.

Al dì là dei proclami elettorali, il rimpatrio appare un’operazione difficile. Sotto tutti i punti di vista. Sociali, politici ed economici. Si parla di milioni di persone, che ormai vivono in Turchia da diversi anni. Molti fanciulli hanno studiato solo in Turchia, 700mila bambini siriani sono nati in Turchia dall’inizio della guerra, ha sottolinea­to il Ministero degli Interni.

« Non mi aspetto un rimpatrio in massa, che violerebbe gli impegni turchi con gli accordi internazio­nali. Tuttavia, mi aspetto un ambiente più ostile per i rifugiati. Tentativi di ridurre i loro diritti, rendere la loro vita in Turchia più difficile, e quindi incoraggia­rli a ritornare in Siria » , continua Başak Yavçan.

Ultimo ma non ultimo il delicato e importante accordo tra Unione Europea e Turchia sui migranti, in corso dal 2016. « Mi aspetto un diverso approccio verso questo accordo, chiunque vinca - conclude la professore­ssa Yavçan -. L’anno prossimo ci saranno le elezioni amministra­tive. I candidati saranno molto sensibili all’opinione pubblica su questo tema. Dubito che l’accordo sarà riconferma­to così come è oggi. Non nella stessa forma. Né nello stesso contenuto » . Se fosse davvero così, per Bruxelles non sarebbero affatto buone notizie.

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EPA In piazza per Erdogan. Sostenitor­i del presidente uscente Recep Tayyp Erdogan durante uno degli ultimi rallY elettorali a Istanbul
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Il candidato ultranazio­nalista Sinan Ogan, terzo al primo turno con il 5,2% dei voti, ha annunciato il suo sostegno al presidente uscente Erdogan
AGO DELLA BILANCIA? Il candidato ultranazio­nalista Sinan Ogan, terzo al primo turno con il 5,2% dei voti, ha annunciato il suo sostegno al presidente uscente Erdogan

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