La Francia guida l’alleanza per il rilancio del nucleare in Europa
Da un anno 12 Stati fanno campagna a favore, l’Italia è per ora Paese osservatore Tra gli obiettivi promuovere la collaborazione industriale e trovare nuovi finanziamenti
Da un anno un gruppo di 12 Paesi europei fa campagna a favore dell’energia nucleare. In un primo tempo si trattava per loro di assicurarsi che la fonte energetica potesse essere considerata sufficientemente ecologica nella lotta alle emissioni nocive e verso la neutralità climatica. Oggi l’alleanza ha cambiato pelle e moltiplicato i suoi obiettivi. I 12 paesi vogliono ottenere nuovi finanziamenti comunitari, promuovere la loro industria, assicurarsi ( anche con l’aiuto italiano) una moderna expertise in un settore in crescita, nel civile e nel militare.
Il nucleare ha registrato un evidente revival negli ultimi anni, in parte anche per via della guerra in Ucraina che ha interrotto l’export di gas russo verso Occidente e più in generale creato nuove incertezze sui mercati. Secondo un recente rapporto dell’Agenzia internazionale per l’Energia, che ha sede a Parigi, la produzione di energia nucleare dovrebbe segnare un record storico nel 2025. Nei fatti, molti Paesi si sono lasciati alle spalle la Sindrome di Fukushima, nata dopo l’incidente giapponese del 2011.
Guidata dalla Francia, l’alleanza raggruppa Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Finlandia, Ungheria, Olanda, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia e Svezia ( l’Italia è un Paese osservatore). « I 12 Paesi condividono il desiderio di sovranità energetica, e si sono dimostrati particolarmente efficaci nel difendere le loro ragioni » , nota Eric Maurice, ricercatore dello European Policy Centre, un centro studi brussellese. Ancora recentemente il ministro francese dell’industria Roland Lescure affermava che « l’energia è la vera sfida del XXI secolo » .
Dei 12 la Francia è il Paese con la base industriale più importante. Conta oltre 50 reattori, i primi risalenti agli anni 50. Tuttora ottiene circa il 65% della sua elettricità dal nucleare. Altri Paesi - come la Repubblica Ceca, l’Ungheria o la Bulgaria – hanno impianti di origine sovietica, invecchiati, se non antiquati. Vogliono sostituirli con centrali più moderne. Altri ancora, come la Polonia, vogliono sostituire vecchi impianti a carbone con nuove centrali nucleari, pur di appoggiarsi su soluzioni più moderne.
L’alleanza è stata strumentale per far sì che il nucleare fosse ritenuto una fonte ecologica quando si trattò di inserirla nella classificazione delle fonti energetiche verdi ( la cosiddetta tassonomia). Successivamente riuscì a ottenere specifici riconoscimenti in altri due testi legislativi: una direttiva sulle fonti rinnovabili e un regolamento con il quale promuovere la produzione di tecnologie pulite. Più recentemente, Bruxelles si è ripromessa di promuovere la cooperazione europea nella costruzione di piccoli reattori modulari.
In marzo, i 12 Paesi hanno tratteggiato i loro nuovi obiettivi: promuovere la collaborazione industriale e soprattutto trovare nuove fonti di finanziamento. Conferma Sebastian Oberthür, professore di diritto ambientale alla Vrije Universiteit Brussel: « L’energia nucleare è molto più costosa da realizzare rispetto alle rinnovabili. L’alleanza sta cercando di ottenere sussidi europei. In prospettiva vorrà anche promuovere lo snellimento delle autorizzazioni, con l’obiettivo di rendere più semplice la costruzione di nuovi impianti » .
Lo sguardo corre al caso dell’impianto inglese di Hinkley Point C, nel Somerset. Poche settimane fa il costruttore, Électricité de France, ha aumentato la stima dei costi da 26 a 46 miliardi di sterline ( 54 miliardi di euro), spostando l’inaugurazione dal 2027 al 2029. « Come per altri progetti infrastrutturali, la costruzione è stata più lenta del previsto e abbiamo dovuto far fronte all’inflazione, alla carenza di manodopera e di materiali, oltre che alle perturbazioni dovute al Covid e alla Brexit » , ha detto Stuart Crooks, il direttore della centrale.
Agli occhi dei suoi sostenitori, il nucleare ha il pregio di garantire energia abbondante ( al netto dei costi di costruzione e del combustibile), e ormai ritenuta accettabile da un punto di vista ambientale ( al netto della gestione delle scorie) in un contesto nel quale l’industria e la mobilità sono destinate a diventare sempre più energivore. Di recente Amazon ha annunciato l’acquisto in Pennsylvania di un centro- dati costruito dalla società energetica Talen Energy, che ha sviluppato il sito accanto a una centrale nucleare. L’acquisizione è costata 650 milioni di dollari.
Tra chi vuole costruire nuovi reattori nucleari c’è la Repubblica Ceca. Di recente a Praga, Emmanuel Macron ha sostenuto con enfasi l’offerta presentata da EdF, basata sulla tecnologia europea EPR ( ossia il reattore nucleare europeo ad acqua pressurizzata). Il presidente francese ha sottolineato il ruolo dell’industria francese nel « rafforzare l’indipendenza tecnologica » del continente. La Francia è il Paese con la maggior base industriale, ma paradossalmente negli ultimi decenni ha trascurato l’expertise.
Negli anni scorsi è stata obbligata a importare energia elettrica mentre era chiamata a riammodernare molti suoi impianti ( dei 16 più difettosi 15 sono tornati a essere funzionanti, secondo EdF). Precisa ancora il professor Oberthür: « Una questione cruciale per la Francia è anche quella di rimanere all’avanguardia nella competenza tecnologica » . Proprio in questi giorni il ministero della Difesa ha annunciato una collaborazione senza precedenti con EdF che prevede di usare due reattori della centrale di Civaux per produrre trizio, « un gas raro, essenziale per le armi di deterrenza » .
In questa ottica, l’alleanza tra i 12 Paesi assume, in una prospettiva francese, un nuovo significato. La cooperazione europea non serve solo a difendere un interesse politico o a promuovere la propria industria, ma anche a rilanciare la propria leadership. In un rapporto pubblicato qualche mese fa, l’associazione imprenditoriale che raggruppa le imprese francesi della filiera nucleare ( GIFEN) ha elencato le necessità del settore. Oggi lavorano a tempo pieno nel nucleare francese 125mila persone. Dovranno salire a 155mila nel 2033.
Le cifre non devono sorprendere. « Dopo un periodo di effervescenza tra gli anni 60 e gli anni 80, il Paese ha pressoché fermato l’apertura di nuovi impianti. Dagli anni 90 in poi l’industria francese ha perso l’inerzia positiva » , riassume Francesco Vitillo, un ingegnere italiano che da tempo lavora a Parigi per una società francese. Vitillo è anche il vicepresidente di una associazione originale, composta da circa 220 esperti nucleari italiani attivi in Francia ( la Société des Professionnels Italiens du Nucléaire en France).
Nei fatti, il paese della force de frappe si avvale incredibilmente di molti specialisti stranieri, in particolare di italiani. « Nel Commissariato all’energia atomica e alle fonti alternative ( CEA), interi uffici sono composti da italiani » , spiega Francesco Vitillo. « D’altro canto, sei università in Italia continuano a formare ingegneri nucleari – i due Politecnici di Milano e di Torino, le università di Pisa, Bologna, Palermo e Roma, mentre la Francia ha invece percorsi formativi più generalisti, che la materia l’hanno tralasciata negli ultimi decenni » .
A metà del decennio scorso, sia il presidente Macron che il suo predecessore François Hollande volevano ridurre al 50% il peso del nucleare nel mix energetico nazionale. Da allora l’inversione è stata radicale. È paradossale che l’Italia, che ha abbandonato il nucleare da 40 anni, rimanga ancora oggi un serbatoio importante di specialisti in questo settore; e non solo in Francia. Dei 32 professori del dipartimento di scienza nucleare del Massachusetts Institute of Technology, quattro sono italiani.