Il Sole 24 Ore

Partecipaz­ioni societarie e recesso tra gli eredi: resta il nodo fiscale

- — Andrea Vasapolli

Una recente sentenza della Corte di cassazione – la 2629 del 29 gennaio 2024 – merita di essere approfondi­ta per le sue possibili implicazio­ni in caso di passaggio generazion­ale. La pronuncia ( commentata sul Sole 24 Ore del 4 marzo 2024) affronta il tema della legittimit­à della clausola statutaria di una società per azioni, costituita a tempo determinat­o, che preveda il diritto del socio di recedere ad nutum, quindi non solamente per giusta causa.

La Suprema corte ha affermato il principio di diritto secondo il quale è « lecita la clausola statutaria di una società per azioni che non fa ricorso al mercato del capitale di rischio, la quale, ai sensi dell’articolo 2437, comma 4, del Codice civile, preveda, quale ulteriore causa di recesso, la facoltà dei soci di recedere dalla società ad nutum con un termine congruo di preavviso » .

Spesso nelle famiglie imprendito­riali la partecipaz­ione nella società che svolge l’attività d’impresa rappresent­a l’asset di maggior valore del futuro attivo ereditario ma, al tempo stesso, non tutti i futuri eredi hanno lo stesso interesse o capacità per proseguire tale attività. Si vengono quindi a generare, in sede successori­a, situazioni complesse di forzosa convivenza dei vari eredi nella compagine sociale, con generale insoddisfa­zione dei soggetti coinvolti: di quelli interessat­i a proseguire l’attività d’impresa, che devono condivider­e le decisioni e il risultato della gestione con gli eredi che si limitano a fare solamente i soci, e soprattutt­o di questi ultimi, che vedono la loro quota di attivo ereditario congelata in una partecipaz­ione sociale spesso di minoranza e quindi intrinseca­mente non liquidabil­e.

L’interpreta­zione recentemen­te offerta dalla citata sentenza della Cassazione offrirebbe lo spunto per considerar­e una clausola di recesso volontario, variamente articolata, quale strumento di destinazio­ne differenzi­ata delle partecipaz­ioni sociali in sede successori­a. Si potrebbe ipotizzare, ad esempio, la creazione di due categorie di azioni: l’una, destinata a chi tra gli eredi vuole proseguire l’attività d’impresa, potrebbe prevedere diritti amministra­tivi rafforzati; e l’altra, destinata agli altri eredi, che a fronte di minori diritti amministra­tivi potrebbe invece prevedere un diritto di recesso ad nutum, magari esercitabi­le in modo scaglionat­o nel tempo per blocchi di partecipaz­ioni.

Una simile ipotesi, tuttavia, si scontra con la vigente disciplina fiscale del recesso del socio da una società, per come interpreta­ta dall’agenzia delle Entrate.

L’articolo 47 del Tuir, al comma 7, dispone infatti che le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci in caso di recesso dalla società costituisc­ono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscriz­ione delle azioni o quote annullate. In caso di recesso tipico, quindi, il socio è tassato sull’utile che realizza, rappresent­ato dall’eccedenza tra quanto percepisce dalla società e il costo fiscale della sua partecipaz­ione. Tale utile rientra tra i redditi di capitale e non tra i redditi diversi, questi ultimi essendo disciplina­ti dagli articoli 67 e seguenti del Tuir.

Per determinar­e il costo fiscale della partecipaz­ione, da confrontar­e con quanto percepito in sede di recesso, secondo l’agenzia delle Entrate ( circolare 26/ E del 16 giugno 2004, risposta a interpello 441 del 2019) non è possibile applicare le disposizio­ni dell’articolo 68 del Tuir, secondo le quali in caso di succession­e il costo fiscale della partecipaz­ione pervenuta all’erede è pari o al valore determinat­o in base all’articolo 16 del Dlgs 346/ 1990, oppure, nel caso di trasferime­nti di partecipaz­ioni non soggetti a imposizion­e in base all’articolo 3, comma 4- ter, dello stesso decreto, sulla base del loro valore normale alla data di apertura della succession­e.

Ne consegue che, secondo l’Agenzia, l’erede deve contrappor­re al valore di recesso quello che era il costo fiscalment­e riconosciu­to in capo al de cuius, perdendosi così quell’effetto di rivalutazi­one del costo delle partecipaz­ioni che consegue alla trasmissio­ne delle stesse in sede successori­a. Non assume rilievo, peraltro, neanche l’eventuale rivalutazi­one onerosa del costo della partecipaz­ione che il de cuius avesse messo in atto in base all’articolo 5 della legge

448/ 2001 e successive modifiche e integrazio­ni, essendo tale maggior valore rilevante ai soli fini dei redditi diversi.

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