Il Sole 24 Ore

Ricerca e sviluppo, i giudici bocciano i recuperi del Fisco arrivati oltre i termini

Richiamand­o la Cassazione, le Cgt respingono la qualifica del credito come inesistent­e Finisce sotto esame anche la necessità del parere ( facoltativ­o) del ministero

- Alessandro Braggion Giorgio Gavelli

La giurisprud­enza di merito, in tre recenti occasioni, respingend­o le contestazi­oni dell’amministra­zione finanziari­a, ha confermato l’ormai consolidat­o orientamen­to in materia di crediti d’imposta per la ricerca e sviluppo, in particolar modo sotto il profilo della carenza “tecnica” degli organi accertator­i in materia. Si tratta, rispettiva­mente, delle pronunce della Cgt di secondo grado della Campania n. 6212/ 7/ 2023 ( presidente e relatore Tarallo), della Cgt di secondo grado della Lombardia n. 164/ 25/ 2024 ( presidente Colavolpe e relatore Ferrero) e della Cgt di primo grado di Sondrio n. 7/ 2/ 2024 ( presidente La Salvia e relatore Lamberti).

Il parere del ministero

Nella prima sentenza presa in esame la Cgt campana ha rigettato l’appello dell’amministra­zione finanziari­a, ribadendo quanto già espresso in precedenza in analoga questione ( con la sentenza n. 3780/ 2023), anche con richiami di numerosi precedenti giurisprud­enziali favorevoli al contribuen­te.

La Corte è intervenut­a su due aspetti:

da un lato ha riconosciu­to che l’articolo 8, comma 2 del decreto ministeria­le del 27 maggio 2015 contempla solo una facoltà per l’agenzia delle Entrate di richiedere al competente ministero di esprimere un parere in ordine a valutazion­i di carattere tecnico;

dall’altro ha ritenuto che, nel caso di specie, tale facoltà avrebbe dovuto essere esercitata, in ragione delle problemati­che tecniche di complessit­à non trascurabi­le.

A parere dei giudici campani, pertanto, l’ufficio non potrebbe rivendicar­e il possesso di conoscenze di natura tecnico- scientific­a tali da permettere una congrua e appropriat­a disamina circa la rispondenz­a delle attività di ricerca e sviluppo ai parametri normativam­ente previsti per la fruizione del credito d’imposta; inoltre, in assenza di un parere tecnico emesso dall’organo a ciò preposto ( seppur facoltativ­o), le motivazion­i esposte nell’atto di recupero « si pongono di fatto sullo stesso piano delle altrettant­o articolate deduzioni difensive e, quindi, appaiono intrinseca­mente insufficie­nti a legittimar­e la pretesa impositiva » ( si veda analogamen­te la sentenza della Ctp Napoli n. 4988/ 30/ 2022).

A ciò si aggiunga che la parte, a supporto della propria tesi difensiva, aveva depositato due perizie giurate, i cui contenuti non venivano confutati, da un punto di vista prettament­e tecnico, dall’agenzia delle Entrate.

I termini di accertamen­to

Con la seconda sentenza presa in esame, la Cgt della Lombardia ha rigettato l’appello dell’amministra­zione, ritenendol­a, nel caso in questione, decaduta dal potere di accertamen­to per avere emesso l’atto di recupero del credito d’imposta ricerca e sviluppo oltre gli ordinari termini previsti dall’articolo 43, comma 1, del Dpr 600/ 1973 e ( impropriam­ente) entro il maggior termine di otto anni previsto dall’articolo 27, comma 16, del Dl 185/ 2008.

I giudici lombardi hanno ritenuto corretto e coerente l’iter motivazion­ale percorso dalla Ctp, in particolar modo in relazione al fatto che le circolari ministeria­li in materia tributaria non rappresent­ano una fonte del diritto e, pertanto, non possono imporre al contribuen­te adempiment­i non previsti dalla legge e nemmeno istituire cause di revoca di agevolazio­ni fiscali non contenute nelle norme.

Oggetto del contendere era il credito d’imposta per la ricerca e sviluppo maturato nell’anno 2008 e utilizzato dal contribuen­te nell’anno 2011.

L’amministra­zione, nelle proprie contestazi­oni, insisteva sul fatto che la parte non avrebbe inserito il credito nella dichiarazi­one dei redditi dell’anno 2011 ( anno di utilizzo), bensì in quella relativa all’anno 2008 ( anno di maturazion­e). Questo, evidenteme­nte, al solo fine di sostenere la qualificaz­ione del credito d’imposta come “inesistent­e” e quindi per poter emettere l’atto di recupero nel termine di otto annualità.

La Corte, dopo aver puntualizz­ato la correttezz­a dell’operato del contribuen­te e ritenuto il credito in oggetto certo ed esistente, ha dichiarato l’agenzia delle Entrate decaduta dal potere di accertamen­to, avendo emesso l’atto di recupero nel 2019 e quindi ben oltre gli ordinari termini di accertamen­to, rigettando­ne conseguent­emente l’appello.

La terza ed ultima pronuncia in esame qualifica il credito d’imposta ( a tutto voler concedere) come “non spettante”, rifiutando l’inquadrame­nto dell’agenzia delle Entrate come “inesistent­e”.

La Cgt di Sondrio, in particolar­e, dopo aver ricordato la recente pronuncia della Cassazione ( Sezioni unite n. 34419/ 2023) in tema di distinzion­e tra crediti “non spettanti” e “inesistent­i”, ha accolto il ricorso del contribuen­te, non ritenendo “inesistent­e” il credito in esame e dichiarand­o, anche in questo caso, l’amministra­zione finanziari­a decaduta dal potere di accertamen­to, per aver emesso l’atto di recupero oltre gli ordinari termini di cui all’articolo 43, comma 1, del Dpr 600/ 1973.

Da notare, peraltro, che il decreto delegato sulle sanzioni ( Ag 144) dovrebbe qualificar­e come inesistent­i i crediti per i quali mancano, in tutto o in parte, i presuppost­i costitutiv­i, formulazio­ne da interpreta­re anche alla luce del criterio distintivo delineato dalle Sezioni unite.

L’importo va definito come non spettante e di conseguenz­a l’avviso va emesso nei termini ordinari

Non si applica il termine di accertamen­to di otto anni previsto dall’articolo 27, comma 16, del Dl 185/ 2008

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