Come chiedere l'indennizzo per l'ingiusta detenzione
Per un errore di calcolo, una persona - scarcerata nel 2017 dopo avere scontato la sua pena - è stata raggiunta, cinque anni dopo, da un provvedimento, legato allo stesso reato, che le imponeva ulteriori 12 mesi di detenzione domiciliare. L'errore è stato poi accertato giudizialmente, ma nel frattempo questa persona aveva già scontato sei mesi ai domiciliari, con tutte le conseguenze negative del caso. Si chiede se sussiste il diritto a un indennizzo per ingiusta detenzione, anche nella forma "domiciliare".
La riparazione per ingiusta detenzione è un rimedio contemplato in osservanza del dettato costituzionale ( articolo 24, ultimo comma, della Costituzione), che appunto prevede la riserva di legge per la determinazione delle condizioni e dei modi per la riparazione degli errori giudiziari, e disciplinato dagli articoli del Codice di procedura penale n. 314, sui casi nei quali sorge il diritto all’equa riparazione, e n. 315, sulla procedura per ottenere la corresponsione dell’indennizzo. Si tratta di un rimedio su base solidaristica, volto a compensare il pregiudizio sofferto in conseguenza di una ingiusta limitazione della libertà personale. Tuttavia, esso non riguarda ogni indebita restrizione, ma esclusivamente la custodia cautelare ( in carcere, in luogo di cura, agli arresti domiciliari, equiparati alla custodia cautelare) e le misure di sicurezza disposte illegittimamente in via provvisoria.
La Corte costituzionale, con sentenza 310 del 25 luglio 1996, ha dichiarato la parziale illegittimità del citato articolo 314 del Codice procedura penale, nella parte in cui non prevede il diritto all’equa riparazione anche per la detenzione patita ingiustamente a causa di un errato ordine di esecuzione. Infine, due pronunce della Corte di cassazione penale hanno riconosciuto il diritto all’equa riparazione qualora la detenzione sia stata protratta oltre il termine previsto dalla legge ( sentenza 3346 del 10 ottobre 2000) e nel caso di proroga di una misura cautelare riconosciuta tardiva ( sentenza 26783 del 27 maggio 2005).
L’equa riparazione consiste nel riconoscimento di un indennizzo e dev'essere chiesta dalla parte, personalmente o tramite procuratore speciale, entro due anni da quando la sentenza di proscioglimento o di condanna è diventata irrevocabile, o da quando la sentenza di non luogo a procedere è divenuta inoppugnabile, oppure da quando è stato notificato il provvedimento di archiviazione a norma dell’articolo 314, n. 3, del Codice di procedura penale. Si applicano infine, in quanto compatibili, le norme sull’errore giudiziario.