BIBI POTENTE MILITARMENTE MA ISOLATO DAL MONDO
La guerra di Gaza non finirà domattina. Ma quell’alzata di mano di Linda ThomasGreenfield, l’ambasciatrice americana all’Onu, ha un’importanza politica decisiva per determinarne la fine e forse anche l’orizzonte diplomatico di questa crisi mediorientale.
Astenendosi, e dunque facendo finalmente passare una risoluzione per il cessate il fuoco immediato, gli Stati Uniti non abbandonano Israele: abbandonano Bibi Netanyahu.
Il premier israeliano ha grandi risorse retoriche, resisterà. Ad ogni costo cercherà sul campo una vittoria irraggiungibile. Tenterà di insediarsi in permanenza nello scontro elettorale delle presidenziali americane, chiedendo e offrendo una spalla a Donald Trump.
Ma l’astensione decisa dall’alleato fedele, munifico ed essenziale, la prima e ancora inarrivabile superpotenza mondiale, rende sempre più evidente il fallimento di Netanyahu.
Il premier israeliano ha iniziato una guerra – forse è più corretto dire che è caduto nell’imboscata di Hamas – senza deciderne una durata possibile. Senza stabilirne un obiettivo militare minimo e uno massimo. Senza disegnare una via d’uscita né un dopo: chi avrebbe sfamato la popolazione di Gaza, imposto l’ordine, soprattutto quale autorità civile avrebbe pensato alla ricostruzione e al governo della Striscia.
« Lo statista che cede alla febbre della guerra - scrisse Winston Churchill nella sua autobiografia giovanile “My Early Life” - deve capire che una volta dato il segnale, non è più il padrone della sua politica ma lo schiavo di eventi imprevedibili e incontrollabili » . Lo fece George W. Bush invadendo l’Iraq, lo sta ripetendo Netanyahu a Gaza.
La risoluzione del Consiglio di sicurezza approvata con la decisiva astensione americana, chiede una tregua umanitaria immediata che permetta lo scambio fra ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi. L’obiettivo è trasformarla in un cessate il fuoco permanente per raggiungere una soluzione politica del conflitto.
È difficile che accada in tempi brevi. Di una tregua israeliani e Hamas, attraverso la mediazione di Usa, Qatar ed Egitto, trattano da mesi. Se ci sarà, non avverrà per imposizione del Consiglio di sicurezza - la storia della diplomazia è piena di risoluzioni Onu disattese - ma perché i protagonisti diretti finalmente lo vorranno.
La risoluzione non dice nulla di Hamas né si chiede se sia possibile la fine della guerra e l’inizio di un “day after” politico con gli islamisti ancora parzialmente in controllo a
Gaza. È una questione non meno fondamentale dell’entrata in vigore di una tregua umanitaria.
È forse anche difficile che la risoluzione diventi quel grimaldello tanto atteso che scalzerà Netanyahu dal potere, permettendo a Israele di tornare a votare. Come reagirà sul campo di battaglia il premier israeliano sempre più isolato e ferito? Con le dovute proporzioni, Bibi è come il
Nord- coreano Kim Jong- un: isolato dal mondo ma militarmente potente.