Il Sole 24 Ore

Residenza fiscale, il frazioname­nto del periodo d’imposta resta al palo

Il Dlgs 209/ 2023 non ha una norma sullo « split year » Convenzion­i con Svizzera e Germania sugli espatri in corso d’anno

- Antonio Fiorentino Martino Paolo Scarioni

Vicende di doppia non imposizion­e si possono evitare intervenen­do sul piano della normativa domestica

Negli scorsi mesi, tra gli operatori era molto alta l’aspettativ­a che, nell’ambito della riforma fiscale, il legislator­e delegato introduces­se – in relazione alla residenza fiscale delle persone fisiche – una norma domestica sul cosiddetto­split cosiddetto split year; aspettativ­a poi disattesa, poiché il decreto Fiscalità internazio­nale di fine anno ( Dlgs 209/ 2023) nulla ha previsto in proposito. Eppure sarebbe una disposizio­ne necessaria.

Per comprender­ne le ragioni, deve ricordarsi che in base all’articolo 2, comma 2 del Tuir si ha la residenza fiscale in Italia se uno dei criteri di collegamen­to col nostro territorio è soddisfatt­o anche solo « per la maggior parte del periodo d’imposta » ; in quel caso, si è considerat­i fiscalment­e residenti per l’intera annualità. Questa “unitarietà” del periodo d’imposta genera qualche insidia nell’anno in cui avviene il trasferime­nto del contribuen­te all’estero, o il suo ingresso in Italia: l’impossibil­ità di frazionare l’anno in due parti può provocare, infatti, non solo fenomeni di doppia imposizion­e, ma anche fenomeni di doppia non imposizion­e.

Quanto ai primi, si pensi al caso di un contribuen­te fiscalment­e residente in Italia, che nella seconda parte del 2024 migri in uno Stato estero per intraprend­ervi un’attività lavorativa, e che, in virtù della normativa interna di tale ultimo Stato, acquisisca lì la residenza fiscale a decorrere dalla data del trasferime­nto: i redditi di lavoro prodotti all’estero verranno tassati sia in Italia ( perché qui il soggetto è stato residente per la maggior parte del 2024), sia nello Stato estero, avendo acquisito la residenza fiscale dal giorno del suo arrivo.

Vero è che tale doppia imposizion­e può essere superata attraverso i meccanismi approntati dalle Convenzion­i. Tuttavia, il rimedio solitament­e adottato, ossia il credito d’imposta, non è sempre “perfetto”: in virtù di esso, la doppia imposizion­e talvolta viene rimossa solo parzialmen­te, laddove all’estero il reddito sia tassato con un’aliquota d’imposta inferiore rispetto a quella Irpef, o sia calcolato in modo differente rispetto a come avviene in Italia, e talaltra non è eliminata affatto, come nei casi in cui il medesimo reddito sia assoggetta­to a tassazione in Italia tramite imposta sostitutiv­a o ritenuta a titolo d’imposta ( sebbene la Cassazione abbia di recente espresso un’apertura: si veda la sentenza 25698/ 2022).

C’è da dire che il Commentari­o al modello Ocse ( al punto 10 del commento all’articolo 4) consente agli Stati contraenti di adottare una disposizio­ne di split year, in base alla quale il contribuen­te di uno Stato, espatriato nell’altro Stato in corso d’anno, mantiene la residenza fiscale nel primo fino alla data del trasferime­nto, e diviene fiscalment­e residente nel Paese di destinazio­ne solo a decorrere dal giorno successivo.

A oggi, però, sono solo due le convenzion­i sottoscrit­te dall’Italia che si avvalgono di tale facoltà, ossia quella in vigore con la Svizzera e quella in vigore con la Germania; e ciò comporta che la regola del frazioname­nto non possa ritenersi operante in tutti i restanti trattati, come confermato già da tempo dall’agenzia delle Entrate ( risoluzion­e 471/ 2008) e, più di recente, dalla Corte di cassazione ( ordinanza 25690/ 2023). Cosicché l’introduzio­ne di una disposizio­ne domestica avrebbe consentito senz’altro di evitare le accennate problemati­che.

Una tale disposizio­ne – e veniamo così al secondo inconvenie­nte procurato dalla sua assenza nell’ordinament­o – avrebbe anche l’effetto di prevenire fattispeci­e di doppia non imposizion­e.

Si pensi, ad esempio, a un contribuen­te italiano che si trasferisc­a nella prima parte del 2024 in uno Stato estero ove è prevista, per norma interna, la regola dellosplit dello split year, o che adotta un periodo d’imposta difforme dall’anno solare ( è quanto accade nel Regno Unito, ove il periodo d’imposta inizia il 6 aprile e termina 5 aprile dell’anno successivo). Qualora egli, nel corso dei primi mesi dell’anno, prima dell’espatrio, avesse realizzato un capital gain dalla cessione di partecipaz­ioni non qualificat­e in società italiane ( o anche estere), tale plusvalenz­a non sarebbe imponibile in Italia, in quanto verrebbe realizzata da un soggetto che per il 2024 è fiscalment­e “non residente” nel nostro Paese, essendoci rimasto per meno di 183 giorni; la legge italiana esclude, infatti, che tale tipologia di plusvalenz­e sia territoria­lmente rilevante in Italia per i non residenti ( lo stabilisco­no l’articolo 5 del Dlgs 461/ 1997, quanto ai soggetti residenti in Stati che consentono un adeguato scambio di informazio­ni, e l’articolo 23 del Tuir, quanto a tutti i non residenti, in relazione alle partecipaz­ioni in società residenti quotate). Al contempo, la medesima plusvalenz­a non verrebbe assoggetta­ta a tassazione neppure nel Paese estero di destinazio­ne, poiché – proprio in virtù dello split year sancito dalla disciplina interna di tale Paese – il medesimo soggetto diverrebbe ivi residente solo a partire dalla data del suo trasferime­nto.

Simili vicende di doppia non imposizion­e possono essere evitate solo intervenen­do sul piano della normativa domestica: esse, infatti, non sono in alcun caso risolvibil­i neppure nell’ipotesi in cui lo split year sia contemplat­o dalla Convenzion­e in essere tra i due Paesi, dal momento che le disposizio­ni pattizie non possono mai fondare un presuppost­o impositivo, o individuar­e una residenza fiscale, altrimenti inesistent­i sulla base delle norme interne. Pertanto, per riprendere l’esempio illustrato, la plusvalenz­a non potrà essere tassata in Italia neppure ove realizzata da un soggetto poi spostatosi in Germania o in Svizzera.

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