Il Sole 24 Ore

UN NETWORK JIHADISTA ANARCHICO E IMPREVEDIB­ILE

- Di Roberto Bongiorni

Lo Stato Islamico non è più uno Stato. Da quasi sette anni. Il Califfato di Abu Bakr al Baghdadi, il grande regno del terrore sorto tra l’Iraq nord occidental­e e la Siria Nord Orientale, si è sgretolato nel 2017, con la caduta di Raqqa e Mosul, per poi scomparire ufficialme­nte nel 2019, con la caduta di Baghouz, la cittadina siriana sulle rive dell’Eufrate dove si erano asserragli­ati migliaia di jihadisti. Di questo Califfato, esteso quanto il Regno Unito, sotto le cui spietate leggi medioevali vivevano otto milioni di persone, non resta più nulla.

Eppure l’Isis non è mai morto. Perché non è morta la sua ideologia. E perché non è un monolite. Se il primo Isis, quello siro- iracheno, sta oggi lottando per la sua sopravvive­nza, in tutto il mondo i gruppi affiliati allo Stato Islamico, o perché riconosciu­ti da quel che resta della leadership siriana, o perché autoprocla­matisi come tali, sono ancora tanti e pericolosi.

Il più letale e organizzat­o è lo Stato islamico del Khorasan, la cui roccaforte è il distretto afghano di Achin. Ma il Continente dove i gruppi jihadisti sono divenuti più numerosi è senz’altro l’Africa. Dall’immenso territorio desertico del Sahel alle foreste della Congo Rdc, fino alla Savana del Mozambico, la galassia jihadista qui ha gioco più facile. Il movimento più feroce, quello che con cadenza settimanal­e si macchia di stragi efferate nei villaggi del Congo nordorient­ale, è la formazione ugandese nota come Allied democratic Forces ( Adf). La sua affiliazio­ne all’Isis ha seguito una procedura per così dire standard. Dopo essersi distinta per le sue stragi, anche di civili, nel 2019 ha giurato fedeltà allo Stato islamico. Che a stretto giro l’ha riconosciu­ta ufficialme­nte, inviando in seguito addestrato­ri in loco, insieme a finanziame­nti. Vi sono fondati motivi per ritenere che l’Adf abbia esteso la sua rete in Sudafrica e in Somalia. Nel sud di quest’ultimo Paese agiscono, anzi dominano gli alShabaab, un grande e feroce movimento estremista, affiliato però ad al- Qaeda. L’investitur­a ufficiale dell’Isis non è però la sola strada percorribi­le per fregiarsi di questo prestigios­o marchio del jihadismo internazio­nale. Altri gruppi si auto proclamano affiliati. Per loro decisione. Senza alcun contatto.

Insomma, le realtà sono diverse. Le agende diverse. Gli obiettivi diversi. Tuttavia, c’è più di un punto in comune; che sia l’Islamic State in Central Africa Province ( Iscap), che ora ha assunto una dimensione transnazio­nale espandendo­si dal Congo in Mozambico e Tanzania, e ambisce alla creazione di un Califfato in Africa, o che sia lo Stato Islamico nel Grande Sahara ( Isgs), il marchio è sempre lo stesso: Isis. Il fanatismo pure. Il fatto che la leadership siriana non riesca ad avere una catena di comando diretta - anche se lo volesse non ha più i mezzi per farlo - può rappresent­are un vantaggio. Agendo in modo indipenden­te, queste formazioni sono difficili da tracciare. Gli attentati e le stragi di questo “quasi anarchico” network jihadista sono più difficili da prevenire. L’Isis è ancora vivo. Scomparirà quando morirà la sua ideologia. I presuppost­i perché accada, però, ancora non si vedono.

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