Il Sole 24 Ore

Quale futuro è in arrivo per il sistema sanità

- Mario Del Vecchio OCPS- Cergas Sda Bocconi

Siamo ancora nella parte iniziale della legislatur­a, con un governo politico legittimat­o da un robusto consenso elettorale e il cui partito centrale si richiama esplicitam­ente a un “pensiero forte” sulla società. Ci sono tutti i presuppost­i per provare a guardare in prospettiv­a, cinque- dieci anni, ai grandi temi del Paese. La sanità è uno di questi. Il punto di partenza per la riflession­e è che il nostro Paese spende poco per la tutela della salute, nonostante la sanità rimanga un elemento centrale nella competizio­ne per il consenso e nelle preoccupaz­ioni della collettivi­tà. I numeri sono ormai noti anche a non addetti ai lavori: l’Italia, con un tasso di invecchiam­ento tra i più alti al mondo, spendeva ( spesa pubblica e privata) nel 2019 circa un punto e mezzo di Pil in meno della grande maggioranz­a dei Paesi europei, con la Germania che spendeva tre punti di più. Il gap tra noi e l’Europa è molto vistoso nella componente pubblica della spesa, meno in quella privata. Se il Covid ha prodotto una crescita della spesa, le differenze con gli altri Paesi sono decisament­e aumentate.

Risorse non in linea con i bisogni e le attese della popolazion­e si riflettono in un Ssn che è costretto a praticare un razionamen­to implicito, il quale porta con sé un tasso di iniquità ( nella competizio­ne per l’accesso ai servizi gli individui con maggiori risorse vincono) spesso superiore a quello prodotto dai meccanismi di mercato. Di fronte a missioni impossibil­i con le risorse a disposizio­ne, lo stesso management si vede drammatica­mente ridotti gli spazi per l’esercizio di una razionalit­à gestionale, dovendosi esclusivam­ente occupare delle emergenze: dai pronto soccorsi alle liste di attesa.

Un governo all’inizio della legislatur­a dovrebbe chiarire quale sistema sanitario intende lasciare alla fine del mandato come base di risposta rispetto ai cambiament­i demografic­i, scientific­i e sociali prevedibil­i nel decennio. Non si tratta quindi dei miliardi di euro della prossima finanziari­a, ma dei punti di Pil che l’Italia vorrà o dovrà dedicare alla sanità e di come sostenere l’aumento dei servizi richiesti.

Se si guarda al versante pubblico lo scenario induce a un certo pessimismo. La competizio­ne tra servizi reali, come la sanità, e trasferime­nti monetari ( pensioni, sussidi) ha avuto nell’ultimo decennio un chiaro vincitore in Parlamento. Dal 2011 al 2019 la spesa per prestazion­i sociali ( trasferime­nti monetari) è cresciuta del 18%, arrivando a rappresent­are il 22% del Pil, mentre la spesa sanitaria è cresciuta del 4%, riducendo il suo peso sul Pil al 6,4%. L’epidemia ha prodotto condizioni eccezional­i, ma il ritorno alla normalità non sembra indicare grandi cambiament­i rispetto alle recenti tendenze. Il Def prevede per il 2025 una spesa sanitaria al 6% del Pil ( nel

2010 era circa al 7%).

Se l’orizzonte politico e programmat­ico non prevede, o non ritiene possibile, uno sforzo eccezional­e per un deciso aumento rispetto al Pil delle risorse pubbliche destinate alla sanità – almeno 20 miliardi ( tra il punto e il punto e mezzo di Pil ) che ci consentano nel tempo di agganciare l’Europa di oggi– ragionevol­ezza e responsabi­lità imporrebbe­ro un dibattito esplicito e una azione di governo su tre direttrici.

La prima è un ridimensio­namento delle attese della collettivi­tà e del sistema politico su quanto il Ssn può effettivam­ente offrire, senza ovviamente allentare la tensione per un aumento di efficienza. Il ridimensio­namento delle attese e un ridisegno dei confini del Ssn in relazione alle risorse è fondamenta­le per preservare l’equità e guadagnare spazi per l’aumento dell’efficienza e della razionalit­à complessiv­a.

La seconda è quella di una migliore integrazio­ne tra spesa pubblica e privata. Un esempio fra molti: oggi una la mammografi­a di screening che molti fondi sanitari integrativ­i offrono alle loro assistite non è riconosciu­ta dal sistema pubblico, generando inefficien­ze operative, spreco di risorse e rischi per la salute.

L’ultima non solo è la più complessa tecnicamen­te, ma anche quella più difficile da accettare. Se il taxpayer non vuole o non è in grado di sostenere un aumento fisiologic­o dei consumi sanitari, sarà il consumator­e a farlo, con o senza il supporto di un intervento pubblico che lo tuteli e lo accompagni in un ambito che lo vede comunque in una posizione di debolezza. Insomma la scelta sarà tra una evoluzione governata che provi a preservare priorità e valori pubblici, primo fra tutti l’equità anche in meccanismi affidati al mercato o prendere atto solo ex post di ciò che le dinamiche della società e dei suoi bisogni avranno realizzato.

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