Quale futuro è in arrivo per il sistema sanità
Siamo ancora nella parte iniziale della legislatura, con un governo politico legittimato da un robusto consenso elettorale e il cui partito centrale si richiama esplicitamente a un “pensiero forte” sulla società. Ci sono tutti i presupposti per provare a guardare in prospettiva, cinque- dieci anni, ai grandi temi del Paese. La sanità è uno di questi. Il punto di partenza per la riflessione è che il nostro Paese spende poco per la tutela della salute, nonostante la sanità rimanga un elemento centrale nella competizione per il consenso e nelle preoccupazioni della collettività. I numeri sono ormai noti anche a non addetti ai lavori: l’Italia, con un tasso di invecchiamento tra i più alti al mondo, spendeva ( spesa pubblica e privata) nel 2019 circa un punto e mezzo di Pil in meno della grande maggioranza dei Paesi europei, con la Germania che spendeva tre punti di più. Il gap tra noi e l’Europa è molto vistoso nella componente pubblica della spesa, meno in quella privata. Se il Covid ha prodotto una crescita della spesa, le differenze con gli altri Paesi sono decisamente aumentate.
Risorse non in linea con i bisogni e le attese della popolazione si riflettono in un Ssn che è costretto a praticare un razionamento implicito, il quale porta con sé un tasso di iniquità ( nella competizione per l’accesso ai servizi gli individui con maggiori risorse vincono) spesso superiore a quello prodotto dai meccanismi di mercato. Di fronte a missioni impossibili con le risorse a disposizione, lo stesso management si vede drammaticamente ridotti gli spazi per l’esercizio di una razionalità gestionale, dovendosi esclusivamente occupare delle emergenze: dai pronto soccorsi alle liste di attesa.
Un governo all’inizio della legislatura dovrebbe chiarire quale sistema sanitario intende lasciare alla fine del mandato come base di risposta rispetto ai cambiamenti demografici, scientifici e sociali prevedibili nel decennio. Non si tratta quindi dei miliardi di euro della prossima finanziaria, ma dei punti di Pil che l’Italia vorrà o dovrà dedicare alla sanità e di come sostenere l’aumento dei servizi richiesti.
Se si guarda al versante pubblico lo scenario induce a un certo pessimismo. La competizione tra servizi reali, come la sanità, e trasferimenti monetari ( pensioni, sussidi) ha avuto nell’ultimo decennio un chiaro vincitore in Parlamento. Dal 2011 al 2019 la spesa per prestazioni sociali ( trasferimenti monetari) è cresciuta del 18%, arrivando a rappresentare il 22% del Pil, mentre la spesa sanitaria è cresciuta del 4%, riducendo il suo peso sul Pil al 6,4%. L’epidemia ha prodotto condizioni eccezionali, ma il ritorno alla normalità non sembra indicare grandi cambiamenti rispetto alle recenti tendenze. Il Def prevede per il 2025 una spesa sanitaria al 6% del Pil ( nel
2010 era circa al 7%).
Se l’orizzonte politico e programmatico non prevede, o non ritiene possibile, uno sforzo eccezionale per un deciso aumento rispetto al Pil delle risorse pubbliche destinate alla sanità – almeno 20 miliardi ( tra il punto e il punto e mezzo di Pil ) che ci consentano nel tempo di agganciare l’Europa di oggi– ragionevolezza e responsabilità imporrebbero un dibattito esplicito e una azione di governo su tre direttrici.
La prima è un ridimensionamento delle attese della collettività e del sistema politico su quanto il Ssn può effettivamente offrire, senza ovviamente allentare la tensione per un aumento di efficienza. Il ridimensionamento delle attese e un ridisegno dei confini del Ssn in relazione alle risorse è fondamentale per preservare l’equità e guadagnare spazi per l’aumento dell’efficienza e della razionalità complessiva.
La seconda è quella di una migliore integrazione tra spesa pubblica e privata. Un esempio fra molti: oggi una la mammografia di screening che molti fondi sanitari integrativi offrono alle loro assistite non è riconosciuta dal sistema pubblico, generando inefficienze operative, spreco di risorse e rischi per la salute.
L’ultima non solo è la più complessa tecnicamente, ma anche quella più difficile da accettare. Se il taxpayer non vuole o non è in grado di sostenere un aumento fisiologico dei consumi sanitari, sarà il consumatore a farlo, con o senza il supporto di un intervento pubblico che lo tuteli e lo accompagni in un ambito che lo vede comunque in una posizione di debolezza. Insomma la scelta sarà tra una evoluzione governata che provi a preservare priorità e valori pubblici, primo fra tutti l’equità anche in meccanismi affidati al mercato o prendere atto solo ex post di ciò che le dinamiche della società e dei suoi bisogni avranno realizzato.