Rimangono centrali
Il commercio internazionale è assai più di un semplice scambio di merci. L’errata comprensione delle molteplici connessioni e delle interazioni fra società ed economie nel mondo può determinare abbagli e malintesi politici, economici e di comunicazione. La fitta rete di legami fra Stati Uniti, Ue, Regno Unito e ad altre economie di mercato democratiche europee costituisce la base geo- economica e geostrategica fra le due sponde del Nord Atlantico. Gli Stati Uniti e l’Ue continuano ad essere i partner commerciali più importanti l’uno per l’altro, malgrado la diffusa e convincente percezione di una Cina pigliatutto, in quanto “fabbrica del mondo”. L’importanza degli scambi transatlantici si misura innanzitutto nel settore dei servizi e negli investimenti, la forma più profonda del commercio internazionale. Anche se alcuni comparti dei due sistemi produttivi dipendono da Pechino e da altri per materie prime cruciali e terre rare. Come risulta da un’analisi della Brookings Institution, il settore dei servizi costituisce un punto di forza specialmente competitivo dell’economia a “stelle e strisce”. Se si sommano merci e servizi, gli scambi Usa- Ue, nel 2022, hanno nettamente superato il valore di quelli con la Cina, che nel 2023 si sono peraltro indeboliti mentre i primi si sono rafforzati. Lo stock degli investimenti reciproci UsaUe è altrettanto importante e superiore al livello degli investimenti comparabili di Stati Uniti ed Europa in Cina e Asia.
Eppure, negli Usa il dibattito
I NODI DEL VOTO PRESIDENZIALE NEGLI STATI UNITI E DELLA DIFESA EUROPEA, SEMPRE REGOLATA A LIVELLO NAZIONALE
politico interno animato dai trumpiani, nell’imminenza delle elezioni presidenziali, sembra attribuire scarsa rilevanza per l’America ai fattori d’instabilità e alle guerre ai confini della Ue. Se Trump vincesse a novembre, la Nato potrebbe essere a rischio. In ogni caso, egli ha già incrinato il tradizionale consenso bipartisan a favore dell’Alleanza atlantica.
Lo storytelling trumpiano attinge a una più profonda insoddisfazione degli americani per la dipendenza militare europea, retaggio della Guerra Fredda. Gli americani non riescono a comprendere perché siano necessari le loro tasse e i loro soldati per difendere un continente benestante come l’Europa, con elevati standard di sicurezza sociale e la cui popolazione supera di gran lunga quella degli Stati Uniti.
Che le relazioni transatlantiche persistano nella forma attuale o vengano sconvolte, dipenderà in buona parte dall’esito delle elezioni presidenziali americane.
Dalla crisi dell’Eurozona del 2011 all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, l’Europa ha affrontato numerose prove esistenziali. Bruxelles ha concentrato l’attenzione strategica sulla Cina, per timore di una eccessiva dipendenza dalle sue esportazioni, e sull’Ucraina, per fornire risorse e munizioni necessarie a Kiev. Nondimeno, la parcellizzazione nazionale delle competenze in materia di difesa e dei suoi finanziamenti ha impedito sinora un approvvigionamento congiunto nel settore della difesa. In pratica, l’Ue dovrà ancora guardare agli Stati Uniti per un partenariato militare. Dalla fondazione della North Atlantic Treaty Organization ( Nato), il 4 Aprile 1949 a Washington, sono trascorsi 75 anni. L’Alleanza si è rafforzata nell’ultimo anno con l’adesione della Finlandia e della Svezia. I Paesi europei stanno aumentando le spese per la difesa a lungo sollecitate da Washington, ma continuano a trattare la politica di difesa come una questione di responsabilità nazionale anziché collettiva. Per decenni la Nato, bloccandoli in un’alleanza a guida americana, ha consentito loro di rimuovere i problemi della sicurezza e di percorrere, con grande successo, il cammino dell’integrazione economico- politica grazie, altresì, ai maggiori investimenti in programmi sociali e di sostegno al mercato comune europeo. Ma l’impegno degli Stati
Uniti nell’Alleanza atlantica è destinato a indebolirsi negli anni a venire.
In un recente sondaggio condotto negli Stati Uniti, per la prima volta in quasi cinque decenni, è emersa una netta maggioranza isolazionista nelle file del partito repubblicano, soprattutto fra i trumpiani più giovani. Peraltro, anche l’amministrazione Biden, nella sua fase iniziale, si è coordinata a malapena con Bruxelles, tanto sul ritiro dall’Afghanistan quanto sull’accordo di difesa Aukus con Australia e Regno Unito, come osserva Max Bergmann del Center for Strategic and International Studies ( Csis). La guerra in Ucraina ha riportato l’attenzione sull’Europa. Il punto cruciale è che gli Stati Uniti non possono più garantire che accorreranno in difesa dell’Europa. Washington, da tempo, ha spostato il focus sul potenziale conflitto con la Cina e sulla pianificazione delle risorse che questo confronto potrebbe assorbire.
In questo scenario di incertezze e di venti di guerra, va collocata la svolta mondiale antitrust contro le
Big Tech. Dall’Unione Europea, che ha varato il Digital markets act, agli Stati Uniti, dalla Corea al Giappone passando per India, Cina e Australia, i governi e le autorità antitrust di tutto il mondo stanno puntando i riflettori sulle violazioni del diritto alla concorrenza commesse dalle Big Tech. L’immenso potere delle grandi aziende tecnologiche è nel mirino della Federal Trade Commission. Biden ha firmato un ordine esecutivo che chiede specifici provvedimenti amministrativi all’antitrust. « Il capitalismo senza concorrenza non è capitalismo » , ha affermato, « è sfruttamento » . Le azioni antimonopolio della Federal Trade Commission contro Big Tech e altri settori hanno trovato il plauso bipartisan dei trumpiani più giovani che vedono le corporations come avversari per i loro elettori.
Nel frattempo, il Consiglio per il commercio e la tecnologia Usa- Ue ( Ttc) rimane centrale per l’armonizzazione della politica digitale e per la mediazione delle controversie mercantili che la politica di de- risking dalla Cina probabilmente farà aumentare. Ma l’assenza di una struttura formale o partnership di accordi commerciali tra gli Stati Uniti e l’Ue è l’elefante nella stanza transatlantica. Poiché si tratta di un tipo di accordi di scambio attuato, in pratica, con tutti gli altri partner commerciali. È doveroso chiedersi, perciò, quanto questa assenza possa aggravare gli effetti politici a catena sulle democrazie occidentali delle “policrisi”, per dirla con le parole di Adam Tooze, dal cambiamento climatico alle migrazioni alle guerre, accrescendo i rischi per l’ordine liberale sinora guidato dagli Stati Uniti.