Dagli operatori l’invito a definire perimetro e requisiti della qualifica
Il titolo deve contribuire a valorizzare la cultura come driver economico
Con l’entrata in vigore della legge sul made in Italy, le imprese culturali e creative sembrano ritagliarsi uno spazio più consistente nell’agenda del Governo. Così, in attesa dei decreti attuativi, gli addetti ai lavori guardano al futuro con fiducia e prudenza.
L’obiettivo è chiaro: regolamentando una qualifica di cui esisteva solo una definizione, la legge vuole garantire al comparto un framework normativo meno dispersivo. Puntando a fissare requisiti e modalità di assegnazione del titolo. E creando una filiera produttiva tra gli operatori, inclusi gli enti del Terzo settore.
« Questa norma si configura come una cornice legislativa che conterrà soggetti diversi, ma accomunati dallo stesso ambito operativo e servirà a creare identità e a ridurre la frammentazione » , spiega Andrea Valenti, Cfo e Hr Legal di Nacon Studio Milan, software house specializzata nello sviluppo di videogiochi.
Una prospettiva che fa ben sperare: « L’entità dei contributi è ancora modesta rispetto alla platea di possibili beneficiari, ma un utilizzo mirato potrebbe aiutare la messa a punto di progetti innovativi in grado di aprire la strada a nuove modalità di sviluppo » . Al netto di criticità da risolvere, « come la necessità di definire meglio il settore culturale e quello creativo in quanto non sempre sovrapponibili » .
E se scommettere sull’efficacia o meno delle novità apportate dalla legge è prematuro, riflettere sugli scenari che potrebbe aprire è necessario. Uno in particolare, che resta prioritario: consolidare l’idea di cultura come fonte di indotto e occupazione.
« Il riconoscimento ufficiale della qualifica mi sembra un passaggio fondamentale » , chiosa Giovanni Collinetti, ceo di BrainDrain, agenzia di content creation culturale e creativa e consigliere di Asseprim - Confcommercio. « Siamo nel paese più bello del mondo ed è giusto che l’Italia sia consapevole del fatto che la cultura sia un driver economico fondamentale. Fare cultura è un lavoro a tutti gli effetti e chi opera in questo settore produce valore » . Ed è per questo che, per Collinetti, bisogna parlare di impresa più che di industria. Affiancando alla legge interventi mirati per un parterre di piccole realtà di qualità e grandi player.
« Va creata una sinergia tra pubblico e privato, motivo per cui è nata Impresa Cultura Italia di Confcommercio » , conclude. « Mettere in chiaro cosa significa diventare Icc e far sì che il titolo non sia solo un nome, ma diventi economicamente funzionale. Infine, definire le caratteristiche che consentono a un’impresa di presentare la propria proposta culturale allo Stato, essere valutata e capire se idonea a ricevere il bollino di qualità. Insomma, fare sistema cultura con intelligenza » .