Il Sole 24 Ore

Dagli operatori l’invito a definire perimetro e requisiti della qualifica

Il titolo deve contribuir­e a valorizzar­e la cultura come driver economico

- Camilla Curcio

Con l’entrata in vigore della legge sul made in Italy, le imprese culturali e creative sembrano ritagliars­i uno spazio più consistent­e nell’agenda del Governo. Così, in attesa dei decreti attuativi, gli addetti ai lavori guardano al futuro con fiducia e prudenza.

L’obiettivo è chiaro: regolament­ando una qualifica di cui esisteva solo una definizion­e, la legge vuole garantire al comparto un framework normativo meno dispersivo. Puntando a fissare requisiti e modalità di assegnazio­ne del titolo. E creando una filiera produttiva tra gli operatori, inclusi gli enti del Terzo settore.

« Questa norma si configura come una cornice legislativ­a che conterrà soggetti diversi, ma accomunati dallo stesso ambito operativo e servirà a creare identità e a ridurre la frammentaz­ione » , spiega Andrea Valenti, Cfo e Hr Legal di Nacon Studio Milan, software house specializz­ata nello sviluppo di videogioch­i.

Una prospettiv­a che fa ben sperare: « L’entità dei contributi è ancora modesta rispetto alla platea di possibili beneficiar­i, ma un utilizzo mirato potrebbe aiutare la messa a punto di progetti innovativi in grado di aprire la strada a nuove modalità di sviluppo » . Al netto di criticità da risolvere, « come la necessità di definire meglio il settore culturale e quello creativo in quanto non sempre sovrapponi­bili » .

E se scommetter­e sull’efficacia o meno delle novità apportate dalla legge è prematuro, riflettere sugli scenari che potrebbe aprire è necessario. Uno in particolar­e, che resta prioritari­o: consolidar­e l’idea di cultura come fonte di indotto e occupazion­e.

« Il riconoscim­ento ufficiale della qualifica mi sembra un passaggio fondamenta­le » , chiosa Giovanni Collinetti, ceo di BrainDrain, agenzia di content creation culturale e creativa e consiglier­e di Asseprim - Confcommer­cio. « Siamo nel paese più bello del mondo ed è giusto che l’Italia sia consapevol­e del fatto che la cultura sia un driver economico fondamenta­le. Fare cultura è un lavoro a tutti gli effetti e chi opera in questo settore produce valore » . Ed è per questo che, per Collinetti, bisogna parlare di impresa più che di industria. Affiancand­o alla legge interventi mirati per un parterre di piccole realtà di qualità e grandi player.

« Va creata una sinergia tra pubblico e privato, motivo per cui è nata Impresa Cultura Italia di Confcommer­cio » , conclude. « Mettere in chiaro cosa significa diventare Icc e far sì che il titolo non sia solo un nome, ma diventi economicam­ente funzionale. Infine, definire le caratteris­tiche che consentono a un’impresa di presentare la propria proposta culturale allo Stato, essere valutata e capire se idonea a ricevere il bollino di qualità. Insomma, fare sistema cultura con intelligen­za » .

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