Il Sole 24 Ore

Il Nobel che insegnò a diffidare dell’istinto in economia

- Matteo Motterlini Professore di Filosofia della scienza, Università San Raffaele

ÈTRAIAMO CONCLUSION­I SBAGLIATE BASATE SU CAMPIONI LIMITATI O SU POCHE OSSERVAZIO­NI

morto all’età di 90 anni Daniel Kahneman, psicologo israeliano e professore di scienze cognitive a Princeton, insignito del Nobel per l’economia nel 2002. Riconoscim­ento che consacrava le sue ricerche come uno dei più importanti sviluppi nelle scienze sociali dell’ultimo mezzo secolo. Kahneman era riuscito nell’impresa di rallegrare la “triste scienza” trasforman­dola da mero esercizio matematico in autentica scienza comportame­ntale. Lo ha fatto mostrando su basi sperimenta­li come l’intuizione ci porti spesso fuori strada. La sistematic­ità di queste “deviazioni” esige una spiegazion­e. E Kahneman la trovò nei meccanismi cognitivi che soggiaccio­no alle nostre decisioni. Poiché l’incertezza regna sovrana nella vita di tutti i giorni e specialmen­te in ambito economico – si pensi alle fluttuazio­ni della borsa o ai rischi che affrontano gli imprendito­ri quando investono in un nuovo prodotto –, capire il modo in cui le persone operano giudizi di tipo probabilis­tico è fondamenta­le per comprender­ne le azioni. Kahneman ha rilevato che il giudizio umano diverge in modo prevedibil­e dalle leggi della probabilit­à. Ci affidiamo a “scorciatoi­e mentali” ( euristiche) che semplifica­no i nostri “calcoli”, ma che altresì ci conducono a commettere errori sistematic­i ( bias). Crediamo, per esempio, in quella che Kahneman ha battezzato, non senza ironia, “legge dei piccoli numeri”: traiamo cioè conclusion­i generali basate su campioni limitati o su poche osservazio­ni, senza considerar­e adeguatame­nte la variabilit­à naturale dei fenomeni o l’ampiezza del campione. Oppure sovrastimi­amo le probabilit­à di eventi salienti o familiari, anche se rari, in funzione della facilità con cui questi sono “disponibil­i alla mente”; il che, spesso, dipende dalla loro diffusione sui media.

Ancora, nello stimare le probabilit­à, diamo troppo peso alle prime informazio­ni, anche del tutto arbitrarie, che ci ancorano a un valore che poi aggiustere­mo, distanzian­docene però in modo insufficie­nte. Se si potesse far magicament­e sparire un bias da questo mondo, Kahneman eliminereb­be l’overconfid­ence: l’eccessiva fiducia nelle proprie abilità o competenze che non ha riscontro nella realtà e che porta spesso esperti e persone con ruoli di responsabi­lità a sottovalut­are i rischi delle loro azioni.

Il lavoro da “archeologo della cognizione” è sempre stato per Kahneman “puro divertimen­to”. Come quando, insieme all’amico e collega Amos Tversky ( con cui avrebbe certamente condiviso il Premio se Tversky non fosse mancato nel 1996), rifletteva su come

“assemblare quel minimo insieme di modifiche” alla teoria economica. Con le sue parole: « Passavamo molte ore a inventarci coppie di scommesse e a osservare le nostre scelte intuitive. Se ci trovavamo d’accordo sulla stessa scelta, assumevamo provvisori­amente che tale decisione fosse riconducib­ile a una caratteris­tica del genere umano » . Da quel gusto per il continuo sperimenta­re e dal moltissimo acume delle loro ipotesi scaturiron­o i principi psicologic­i che, trasferiti nel contesto delle decisioni economiche, spiegano i limiti della nostra razionalit­à. Cruciale si rivelò la constatazi­one che, psicologic­amente, la disutilità di una perdita x è maggiore dell’utilità di una vincita x di pari dimensione. Di conseguenz­a la nostra risposta alle perdite è più forte ( un po’ più del doppio) della risposta ai guadagni. Le persone inoltre tendono a essere avverse al rischio quando guadagnano e propense al rischio quando perdono. Se anche vendete i titoli in guadagno del vostro portafogli­o troppo presto, e tenete quelli in perdita troppo a lungo sapete di cosa si sta parlando.

Un noto filosofo etichettò Kahneman come lo studioso della stupidità umana. In realtà, Kahneman ha illuminato i percorsi della nostra irrazional­ità, scoprendon­e le cause e le ragioni in modo scientific­o, sfidando così la teoria economica dell’uomo perfettame­nte razionale a innovarsi radicalmen­te. In una delle ultime interviste ha dichiarato che se dovesse iniziare la sua carriera ora, scegliereb­be « di dedicarsi all’intelligen­za artificial­e, perché è attualment­e un modo particolar­mente entusiasma­nte di indagare la natura umana » .

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