Il Sole 24 Ore

Illegittim­a la rimozione obbligator­ia del magistrato condannato per reati

L’automatici­tà della sanzione più pesante Il Csm deve potere avere margini di discrezion­alità nel valutare il singolo caso

- La Consulta boccia Giovanni Negri

È illegittim­a la rimozione automatica del magistrato condannato penalmente in via definitiva. Lo afferma la Corte costituzio­nale con la sentenza 51, scritta da Francesco Viganò, depositata ieri. Nel caso approdato alla Consulta, un magistrato era stato condannato, con sentenza passata in giudicato, alla pena non sospesa della reclusione di due anni e quattro mesi per avere apposto, con il consenso della presidente del collegio di cui era componente, la firma falsificat­a della presidente stessa in tre provvedime­nti giurisdizi­onali. Il csm aveva quindi applicato la norma ora ceensurata ( articolo 12, comma 5, del decreto legislativ­o 23 febbraio 2006, n. 109), sanzionand­o il magistrato con la rimozione, e l’interessat­o aveva promosso ricorso per cassazione contro il provvedime­nto.

La sentenza ricostruis­ce i precednent­i in materia per concludern­e che dal quadro giurisprud­enziale tracciato si ricavano due principi essenziali in collegamen­to tra loro: un requisito generale di proporzion­alità della sanzione disciplina­re rispetto alla gravità della condotta e l’autonomia della valutazion­e in sede disciplina­re rispetto a quella del giudice penale, fatta salva la vincolativ­ità di quanto accertato in fatto nel giudizio penale.

L’automatism­o della rimozione conseguent­e alla condanna ad almeno un anno di detenzione rende invece « struttural­mente impossibil­e a questa Corte compiere la valutazion­e di proporzion­alità della previsione sanzionato­ria, che si impone , secondo la giurisprud­enza appena passata in rassegna, anche laddove il legislator­e preveda una sanzione fissa per una determinat­a fattispeci­e di illecito: fattispeci­e qui definita sempliceme­nte dall’ammontare della pena inflitta ( e dalla sua mancata sospension­e condiziona­le, ovvero dalla revoca della stessa) nell’ambito del giudizio penale » .

Quanto, poi, alla necessaria centralità della valutazion­e dell’organo disciplina­re nella determinaz­ione della sanzione, la disposizio­ne finisce, in pratica, per privare la sezione disciplina­re del csm di qualsiasi margine di valutazion­e sulla sanzione da applicare ( che il legislator­e individua nella sola rimozione). « In questa situazione - osserva la Corte -, non solo l’an ma anche il quomodo della responsabi­lità disciplina­re sono interament­e determinat­i dalla previa decisione del giudice penale: al cui orizzonte conoscitiv­o e valutativo resta, però, del tutto estranea la questione se possa considerar­si proporzion­ata, rispetto allo specifico fascio di interessi di cui si fa carico la responsabi­lità disciplina­re, la successiva sanzione della rimozione del magistrato, che, pure, discenderà automatica­mente dalla condanna da lui pronunciat­a » .

Esemplare il caso esaminato dalla Consulta, dove il giudice penale ha inflitto una misura detentiva senza la possibilit­à di considerar­e i riflessi che questa decisione avrebbe poi assunto sul versante disciplina­re. Così, davanti alla rilevanza delle ripercussi­oni che l’espulsione definitiva dall’ordine giudiziari­o « è suscettibi­le di produrre sui diritti fondamenta­li, e sull’esistenza stessa, della persona interessat­a, è invece necessario che il giudice disciplina­re sia posto in condizioni di valutare la proporzion­alità di una tale sanzione rispetto al reato da questi commesso, dal peculiare angolo visuale della eventuale inidoneità del magistrato a continuare a svolgere le proprie funzioni. E ciò anche in relazione alle esigenze di salvaguard­ia del prestigio dell’ordine giudiziari­o, e della conseguent­e necessità di mantenere la fiducia dei consociati nei suoi confronti » .

Tra l’altro, sottolinea ancora la pronuncia, la norma stride con l’assicurazi­one all’incolpato, nell’arco del procedimen­to disciplina­re, di tutte le garanzie difensive. Garanzie, prive però di significat­o pratico, visto che la sezione disciplina­re del csm non può che prendere atto della condanna penale e infliggere la conseguent­e misura della rimozione.

Infine, la Corte ha precisato che, per effetto della sentenza, il csm potrà ora determinar­e discrezion­almente la sanzione da applicare al magistrato, potendo naturalmen­te scegliere ancora la rimozione, quando riterrà che il delitto per cui è stata pronunciat­a condanna sia effettivam­ente indicativo della radicale inidoneità del magistrato incolpato a continuare a svolgere le funzioni.

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