« Sandokan » , pentimento dopo 26 anni di carcere duro
Il boss Schiavone segue la scelta dei due figli: collaborerà con la giustizia
Ventisei anni di carcere duro - per quanto permeabile nella trasmissione degli ordini all’esterno - possono fiaccare anche un criminale come Francesco “Sandokan” Schiavone che ha annunciato la volontà di collaborare con la Giustizia. Schiavone è in cella dall’ 11 luglio 1998, quando venne arrestato e nel 2010 è stato condannato per associazione mafiosa nell’ambito del processo Spartacus.
Il discrimine per farne davvero il “Buscetta della camorra” – pur con tutti i punti di forza e di debolezza che ha avuto anche il collaboratore siciliano – sarà la qualità di ciò che dirà ( nell’ambito dei 180 giorni previsti per legge) e, di conseguenza, la possibilità che i magistrati della Procura di Napoli guidata da Nicola Gratteri trovino i riscontri di quanto il settantenne boss metterà a verbale.
Se racconterà i meccanismi attraverso i quali si è infiltrato ( e il clan ancora si infiltra) nella società, nell’economia, nella politica e nei gangli vitali dello Stato e farà i nomi di quanti lo hanno affiancato nella scalata criminale e imprenditoriale, la qualità sarà garantita e la storia degli ultimi 40 anni ( non solo campana) sarà necessariamente riscritta. Anche perché gli effetti nefasti di quelle infiltrazioni sono ancora presenti e chissà per quanto tempo lo saranno, non solo in Campania.
Se, invece, Schiavone si limiterà a marcare i contorni di quanto lo Stato già conosce, sarà un esercizio di facciata o un tentativo fallito per tornare in libertà, privo di quell’ergastolo ostativo che per ora lo condanna a vita.
Fatto sta che l’avvio della collaborazione di uno tra i più dannosi criminali che il sud e l’Italia tutta ricordi, va valutata con l’attenzione che merita ed è esercizio di pura ingegneria giornalistica cercare di capire se la scelta è dettata dalla malattia che lo ha colpito da qualche anno, dalla voglia di salvare la famiglia ( allargata), dalla paura per un potere incrinato o, viceversa, dalla volontà di alzare la voce per apparire un padrone in grado ancora di spostare gli equilibri e dettare legge sulla scacchiera del crimine.
In questi 26 anni in cui ha fatto di tutto per mantenere lo scettro, il clan è stato colpito da arresti, omicidi, divisioni e pentimenti. I figli Nicola e Walter stanno collaborando.
Il primo dal 2018, il secondo dal 2021 mentre la moglie di “Sandokan”, Pina Nappa, tecnicamente non è una collaboratrice ma ha fornito comunque informazioni ai magistrati dal 2019. E questo chiude il cerchio: se il pentimento di Francesco Schiavone sarà come quello dei familiari – che non hanno praticamente smosso né cielo né terra – sarà solo una mossa pro domo sua e per confondere le acque.