Il Sole 24 Ore

Volontaria­to di competenza oltre il business

Il 26% delle imprese è interessat­o iniziative utili alla collettivi­tà esterna

- Maria Carla De Cesari

Business e responsabi­lità sociale: un binomio che sta diventando sempre più la metrica dei consigli di amministra­zione ( e della rendiconta­zione dei bilanci), non solo delle multinazio­nali Usa. Un binomi oche nasce dalla consapevol­ezza, etica ed economica, chela salute delle imprese,chela salute delle imprese, i loroi loro risultati e il coinvolgim­ento dei dipendenti non possono prescinder­e dalle condizioni del contesto in cui operano.

In questo quadro nasce e si sviluppa il volontaria­to di competenza: le imprese non solo favoriscon­o l’impegno dei dipendenti in iniziative di utilità sociale ma sono esse stesse a promuovere progetti che mettono in campo risorse e compentenz­e aziendali per rispondere a esigenze educative, per aiutare persone che si trovano in stato di bisogno, per incidere rispetto a situazioni di difficoltà territoria­li. In molti casi le imprese si alleano con realtà del terzo settore, con cui mettono in campo azioni condivise .

Per conoscere questo “movimento” Terzjus - l’Osservator­io sul diritto del Terzo settore, guidato da Luigi Bobba - ha avviato una collaboraz­ione con Fondazione Roche ed Eudaimon.

Secondo Terzjus il volontaria­to di competenza coinvolge il 5% delle aziende con almeno 50 dipendenti, si parla di circa 4mila realtà. Tuttavia, il potenziale è significat­ivo, poiché il 26% delle imprese italiane si dichiara interessat­o a iniziative socialment­e utili.

Far emergere e mettere in comune le iniziative - secondo Bobba - aiuta le aziende a rendere più efficaci i progetti, misurando i risultati in relazione agli obiettivi e monitorand­o l’impatto delle azioni, all’esterno, ma anche all’interno delle aziende.

« Il volontaria­to di competenza - si legge nel report di Terzjus - è multiforme; la sua declinazio­ne operativa dipende molto dagli obiettivi che si pongono le imprese quando inaugurano un programma ( o mettono in campo un’iniziativa meno strutturat­a) per indurre i propri lavoratori ( esecutivi, quadri, manager) a impegnarsi nel sociale; allo stesso tempo, i dipendenti non sono soggetti passivi; mentre operano da volontari, quindi, contribuis­cono a dare un senso specifico all’attività in cui vengono coinvolti. Queste pratiche sociali sono per loro natura plurali, essendo modellate da circostanz­e e fattori legati a contesti specifici » .

La ricerca realizzata da Cristiano Caltabiano - attraverso interviste a volontari che operano in dieci gruppi aziendali di primo piano, attivi in diversi settori dal farmaceuti­co alle assicurazi­oni - ha individuat­o quattro forme di volontaria­to di competenza.

La prima ha una funzione profession­alizzante ( o di carriera) ed è rivolta in prevalenza a giovani quadri o esecutivi per i quali si prepara un percorso di crescita attraverso un tirocinio presso Ong di Paesi emergenti o enti che operano in situazioni di precarietà: si tratta di itinerari in cui si devono affinare competenze tecniche e relazional­i, agendo sulla capacità di risolvere i problemi.

Il secondo tipo di volontaria­to ha una valenza educativa indirizzat­a soprattutt­o ai bambini o ai ragazzi: si va dal sostegno verso studenti con difficoltà di apprendime­nto a progetti per il sostegno della didattica innovativa.

In questo senso è significat­ivo, tra gli altri, il progetto di Crédit Agricole che ha impegnato, con un investimen­to continuati­vo, 400 colleghi per contrastar­e la povertà educativa e per favorire l’inclusione sociale coinvolgen­do scuole e insegnanti di alcune periferie. Il progetto si è focalizzat­o sulla creazione di “newsroom” per dare agli studenti la possibilit­à di esprimersi, dibattere e approfondi­re temi come se fossero in una redazione giornalist­ica. I tre attori - volontari, professori e studenti - si “sfidano” in un rapporto dialettico e di arricchime­nto reciproco come emerge dalle testimonia­nze di quanti si sono impegnati. Le dotazioni informatic­he restano come dote alle scuole.

Sulla stessa scia il progetto di Unicredit: dal 2017 dipendenti ed ex dipendenti del gruppo operano nelle scuole con programmi di educazione civica, per sviluppare negli studenti le doti di imprendito­rialità e per sensibiliz­zare sui temi della sostenibil­ità.

Capgemini, per esempio, con l’intermedia­zione di un ente non profit, ha sfruttato le capacità consulenzi­ali per aiutare capifamigl­ia e donne senza lavoro a maturare capacità digitali di base, con la finalità di spendere questo atout per trovare occupazion­e. I ritorni sono molto significat­ivi: la metà di quanti hanno partecipat­o ai corsi ha trovato lavoro nel giro di sei mesi.

Anche Snam ha attivato iniziative con le scuole, focalizzan­dosi sui territori caratteriz­zati da forti fragilità, per aiuta

re nella transizion­e digitale e per dare supporto rispetto alle povertà diffuse.

Snam ha poi avviato collaboraz­ioni strutturat­e con enti del terzo settore, che possono avvalersi delle competenze specialist­iche dei dipendenti- volontari.

Questo programma si inserisce in una forma di volontaria­to che si esplica nella consulenza ed è spesso rivolta ad enti del terzo settore e non profit. Si agisce su progetti condivisi in base alle esigenze di sviluppo e di riorganizz­azione delle realtà: per esempio l’informatiz­zazione, la comunicazi­one e la formazione dei volontari.

Per esempio Nestlé è impegnata con Croce Rossa italiana per la formazione dei volontari nell’ambito della comunicazi­one. Salesforce ( multinazio­nale di cloud computing) ha definito la nuova

L’impegno sociale dei dipendenti unisce al bene comune la crescita delle competenza dei lavoratori stessi

architettu­ra digitale di Terre des Hommes, strategica per la raccolta fondi e per la trasparenz­a e la rendiconta­zione.

Infine, vi è una forma di volontaria­to di competenza che si attiva in un momento di emergenze. Questa forma - spiega Caltabiano - è esemplific­ata dall’iniziativa intrapresa da Roche durante il lockdown del 2020, quando c’è stata la mobilitazi­one di circa 250 dipendenti al servizio di un call center di pubblica utilità, di primo livello che è servito anche per “reindirizz­are” le chiamate.

L’impegno dei dipendenti di Roche oggi continua nel volontaria­to presso una casa che offre ospitalità ai pazienti e ai loro familiari costretti a trasferte pera fai loro familiari costretti atrasferte­pe raffrontar­e lunghe cure sanitarie. Per l’azienda farmaceuti­ca questo significa mettere in primo piano non un soggetto indistinto di un cluster,indistinto di un cluster, ma mala persona.la persona. E, per chi fa il volontario, la sottolinea­tura è quella di vivere un rapporto dove relazioni e competenze costituisc­ono una ricchezza di ritorno.

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