Il Sole 24 Ore

La donazione del tempo dei dipendenti ottiene un sostegno dal Fisco

- Gabriele Sepio

Il volontaria­to aziendale trova nelle regole fiscali un inedito sostegno. Sono sempre di più le imprese che decidono di donare tempo e competenze profession­ali dei propri dipendenti a favore degli enti del Terzo settore. Per il sistema sociale si tratta di un valore tutto ancora da misurare ma certamente di grande impatto. Arricchent­e per chi dona e per chi riceve con una forte integrazio­ne di competenze e sensibilit­à tra profit e non profit. Per il fisco tuttavia, seguendo le regole ordinarie, si tratta di costi, quelli del lavoro, che finirebber­o per esulare dal contesto imprendito­riale con conseguent­e perdita della deducibili­tà. Proprio su questo aspetto arriva una nuova forma di sostegno fiscale che inverte i parametri legati alla deducibili­tà dei costi e all’inerenza delle spese. Anticipand­o infatti il trend del mercato che porta le imprese ad investire sempre di più nei parametri Esg della sostenibil­ità ( ambiente, sociale e governance), il legislator­e tributario ha da tempo lanciato un segnale chiaro; il costo del lavoro impegnato nel volontaria­to diventa deducibile perché l’impresa è parte di un ecosistema sociale e l’impegno a favore della collettivi­tà va premiato rendendolo entro certi limiti deducibile. Dopotutto questo riconoscim­ento di una nuova forma di “inerenza circolare” favorisce innovative forme di solidariet­à e soprattutt­o nuove modalità erogative. A differenza di chi dona denaro, le imprese che scelgono di donare forza lavoro creano un legame stabile con gli enti non profit destinatar­i rafforzand­o i rapporti sociali e le reti relazional­i. Un valore che sfugge ai parametri del prodotto interno lordo ma che trova in un fisco che potremmo definire “buono” un valido alleato. Tutto questo parte da una quasi sconosciut­a disposizio­ne contenuta nel Tuir che consente di attrarre nel sistema di impresa voci collegate alle attività orientate esclusivam­ente al bene comune. Si tratta dell’art. 100, comma 1, lett. i) del Tuir grazie al quale il datore di lavoro può dedurre, nel limite del 5 per mille dell’ammontare complessiv­o, le spese relative all’impiego di lavoratori dipendenti per prestazion­i di servizi erogate a favore di Onlus. Si concede, in altre parole, la possibilit­à alle imprese di poter destinare temporanea­mente le competenze dei propri dipendenti a favore di specifici enti non profit senza dover rinunciare, nei limiti previsti dall’articolo 100 del Tuir, alla deduzione delle relative spese. Tutto questo a condizione che il dipendente, le cui prestazion­i vengono fornite a favore dell’organizzaz­ione non profit, vanti un contratto di lavoro a tempo indetermin­ato. L’incentivo fiscale, d’altro canto, sembra destinato a prendere sempre più piede se si tiene conto del fatto che la Riforma del Terzo settore punta ad ampliare il paniere dei soggetti verso cui le aziende possono rivolgere la propria attenzione. Infatti, dopo l’autorizzaz­ione Ue sui nuovi regimi fiscali e il venir meno della normativa per le Onlus ( Dlgs. n. 460/ 1997), l’articolo 100 lett. i) sarà esteso a qualsiasi tipologia di ente del Terzo settore ( Ets) purché di natura non commercial­e.

È in questo scenario che occorre valorizzar­e sempre più il “volontaria­to di competenza” come pratica in grado sì di apportare nuove skill al Terzo settore in una condizione di reciprocit­à. Perché quando si parla di volontaria­to di competenza non è il solo dipendente dell’azienda profit a mettere a disposizio­ne il proprio bagaglio di conoscenze. Dopo una esperienza di volontaria­to in una delle tante organizzaz­ioni del terzo settore che operano sui territori si torna sempre con nuovo bagaglio di sensibilit­à e di soft skill. Tutti aspetti che non possono che arricchire anche l’impresa che sceglie questa strada virtuosa.

Va detto poi che la formula del volontaria­to di competenza per essere sempre più appetibile può essere accostata a piani di welfare aziendali. In questo modo si garantisce la possibilit­à di cumulare tra loro le varie agevolazio­ni fiscali e previdenzi­ali. Tali piani possono costituire uno strumento decisivo per la partecipaz­ione delle aziende, mediante il coinvolgim­ento dei propri dipendenti. L’introduzio­ne del volontaria­to nei piani di

Il datore può dedurre fino al 5 per mille dell’ammontare il costo del lavoro erogato alle Onlus

Le imprese che donano propria forza lavoro creano un legame stabile con gli enti non profit beneficiar­i

welfare avrebbe il pregio di consentire alle imprese di raggiunger­e i parametri di sostenibil­ità rafforzand­o anche i rapporti con gli stessi lavoratori. Molto spesso, le imprese scelgono di investire su realtà non profit a favore delle quali i dipendenti prestano la propria opera volontaria spontaneam­ente a prescinder­e dall’avvio di progetti aziendali orientati in tal senso.

Ma la promozione del volontaria­to di competenza passa anche per i premi di produttivi­tà. Attraverso tali strumenti, il datore di lavoro condiziona l’erogazione di premi monetari fiscalment­e agevolati al raggiungim­ento di obiettivi slegati da caratteri meramente economici bensì di natura solidarist­ica, idonei ad aumentare la responsabi­lità sociale dell’azienda.

Senza poi contare che la pratica del volontaria­to di competenza potrebbe rappresent­are, come anticipato, un parametro per “misurare” la Csr delle imprese a fronte dell’attuazione di politiche aziendali con impatto sociale. Ai fini della rendiconta­zione, il volontaria­to di competenza, se qualificat­o come un indicatore idoneo ad adempiere a tali obblighi e a certificar­e l’adozione di pratiche responsabi­li, potrebbe trovare maggiore diffusione tra gli operatori economici, incluse le piccole e medie imprese. Insomma volontaria­to e lavoro possono costituire un tandem inedito che nel caso delle imprese trova sostegno nel fisco per incoraggia­re nuove forme di solidariet­à. Una sfida che il mercato sta raccoglien­do sempre di più per dare forma a modelli che creano valore attraverso il dialogo profit/ non profit.

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