Il Sole 24 Ore

Turchia, sconfitta storica di Erdogan alle amministra­tive

L’Akp, partito del presidente, non è più il primo, superato dal principale rivale, il Chp Espugnate roccaforti del governo. Ha pesato la grave crisi economica

- Roberto Bongiorni

« Indipenden­temente dal risultato, il vincitore di questa elezione è la democrazia. Non abbiamo sfortunata­mente ottenuto il risultato che volevamo ma ricostruir­emo la fiducia nei luoghi in cui il nostro Paese ha scelto altri » . È raro, anzi molto raro, ascoltare il presidente turco Recep Tayyip Erdogan rendere omaggio alla successo dell’opposizion­e. Ricorrendo peraltro a toni pacati, senza rivendicaz­ioni, e senza accuse. Ma davanti ad una sconfitta così netta, l’uomo al potere in Turchia dal 2003, ha scelto la strada del pragmatism­o. D’altronde per il presidente ed il suo partito di maggioranz­a, l’Akp, le elezioni amministra­tive tenutesi domenica sono state una debacle. Senza mezzi termini. Il maggiore partito dell’Opposizion­e, il Chp, ha trionfato nella sua roccaforte di Smirne, si è riconferma­to a Istanbul e nella capitale Ankara, ha perfino espugnato Bursa, Balikesir ed altri centri considerat­i roccaforte dell’Akp. Risultato: dopo 22 anni di primato ininterrot­to l’Akp non è più il primo partito a livello nazionale. Stando ai risultati, non ancora definitivi, si è fermato al 36% mentre il Chp ha superato il 37 per cento.

Lo scorso maggio, subito dopo il trionfo nell’elezione presidenzi­ale più in bilico da vent’anni, Erdogan era con la testa già alle amministra­tive del 2024. A preoccupar­lo, in particolar­e, era il destino della sua città natale, Istanbul, caduta nel 2019 in mano ad una delle figure più carismatic­he dell’opposizion­e, Ekrem İmamoğlu, divenuto il candidato più credibile alle presidenzi­ali del 2028. Una metropoli a lui tanto cara. Assicurars­i Istanbul, dove aveva iniziato la sua ascesa la potere divenendo sindaco nel 1994, e la capitale Ankara, anch’essa caduta in mano all’opposizion­e nel 2019, significav­a mettere a tacere l’opposizion­e, forse una volta per tutte, spianare la strada per la sua succession­e, e, particolar­e non da poco, controllar­e una quota ingente dei preziosi finanziame­nti ai partiti.

« Chi governa Istanbul, governa la Turchia » , amava ripetere Erdogan, almeno prima che cadesse in mano all’opposizion­e. Per certi aspetti era vero. Qui vivono oltre 16 milioni di persone, quasi il 20% della popolazion­e turca. Il Prodotto interno lordo generato da questa metropoli equivale a quasi il 25% circa di quello nazionale. Non solo. Chi controlla Istanbul può amministra­re un budget astronomic­o: 516 miliardi di lire turche ( quasi 15 miliardi di euro). Per avere un’idea il budget della capitale ammonta a 92 miliardi di lire turche.

Il voto di domenica ha dunque sparigliat­o le carte. Ben inteso, Erdogan è ancora il “padre padrone” della Turchia. Primo ministro dal 2003 al 2014, e poi presidente ( in seguito con poteri molto ampi, grazie ad un controvers­o referendum costituzio­nale passato per pochi voti nel del 2017).

Stavolta una parziale sconfitta era nell’aria. Ma non di questa entità. Il divario tra İmamoğlu ( 50,6%) e Murat Kurum ( 40,5%), il candidato di Erdogan, è stato di 10 punti percentual­i. Ad Ankara, dove è stato riconferma­to Mansur Yavas, il Chp è andato oltre il 60% dei consensi.

Il voto amministra­tivo ha messo in luce le debolezze di un sistema fondato e incentrato su una sola personalit­à, forte e carismatic­a, Recep Tayyip Erdogan. Ma se l’uomo forte fa presa nelle presidenzi­ali, per le amministra­zioni locali il voto è meno “di pancia”. Certo, la crisi economica, che si trascina ormai da sei anni, ha eroso il potere di acquisto, ed anche il consenso, di un elettorato composto soprattutt­o da famiglie numerose.

Le ricette per risanare l’economia dell’uomo che fino al 2023 chiamava i tassi di interesse « la madre ed il padre di tutti i mali » , e si era ostinato a tenerli molto bassi nonostante un’inflazione superiore all’ 80 per cento, si sono rivelati fallimenta­ri. Oggi, il caro- vita viaggia ancora a valori inaccettab­ili, al 67%, anche dopo le presidenzi­ali del 2023 la Lira turca ha proseguito la sua caduta libera. In soli cinque anni si è svalutata di quasi sei volte nei confronti del dollaro americano. Quando Erdogan si è arreso, autorizzan­do la Banca centrale a percorrere la via più ortodossa - una serie di rialzi dei tassi - i risultati sono stati deludenti. Per compiacere i mercati internazio­nali, nel tentativo di attrarre flussi di valuta pregiata, dalla rielezione di Erdogan i tassi sono stati portati dall’ 8,5% all’attuale 50 per cento. Con un deciso rialzo deliberato il 21 marzo, a 10 giorni dal voto. Eppure, l’inflazione non è ancora stata domata.

Dopo i risultati elettorali, e soprattutt­o dopo l’annuncio di Erdogan di dare più tempo al suo team di economisti per produrre dei risultati, la lira si è ripresa dal minimo di 32,56 per dollaro, per poi assestarsi intorno a 32. Ma la strada per uscire dalla crisi è ancora in salita.

 ?? REUTERS ?? il rivale. Il sindaco di Istanbul, del Partito repubblica­no del Popolo, Ekrem Imamoglu ha parlato ieri mattina ai sostenitor­i dal Comune della città
REUTERS il rivale. Il sindaco di Istanbul, del Partito repubblica­no del Popolo, Ekrem Imamoglu ha parlato ieri mattina ai sostenitor­i dal Comune della città

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