In migliaia da due giorni in piazza per chiedere le dimissioni di Netanyahu
Nuova fase d’incertezza con lo stop all’esenzione dalla leva per gli ortodossi
Il secondo giorno di proteste. Dopo l’imponente manifestazione davanti alla Knesset a Gerusalemme per chiedere elezioni anticipate, i dimostranti sono tornati a chiedere le dimissioni del premier israeliano Benjamin Netanyahu. Decine di migliaia di persone, 100mila secondo alcune fonti, sono scese in piazza a Tel Aviv, a Gerusalemme e in altre città israeliane per quella che è stata descritta come la più grande protesta antigovernativa dall’inizio della guerra. La polizia ha usato cannoni ad acqua per disperdere la folla e ha arrestato 16 persone. Una folla diversificata, composta da ultraortodossi, pacifisti, sfollati dei kibbutz del sud e del nord, familiari degli ostaggi. Uniti solo da una richiesta condivisa: le dimissioni del premier Benjamin Netanyahu.
I manifestanti accusano Netanyahu di aver seguito una strategia sbagliata e controproducente e di aver sabotato i colloqui per un cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi catturati da Hamas nell’attacco del 7 ottobre in territorio israeliano.
Moshe Radman, uno dei leader della protesta, secondo quanto riporta The Times of Israel, spiega quali siano le richieste: « Siamo qui fino a mercoledì. Prima di tutto, vogliamo le elezioni perché pensiamo che questo governo non rappresenti l’opinione pubblica » . Le elezioni anticipate potrebbero svolgersi, secondo i manifestanti, prima del 13- 14 maggio, il Giorno dell’indipendenza. Ma « l’urgenza rimane la liberazione degli ostaggi, che secondo la maggior parte degli israeliani, non è tra le priorità del governo di Netanyahu » .
Uno scontro politico che si rivela frontale; il premier israeliano, ha ribadito che Hamas sarebbe la prima a festeggiare le elezioni anticipate. E ha ribadito: « Niente fermerà l’attacco a Rafah » .
Il nodo degli ortodossi
Un altro fattore di crisi interna riguarda l’esenzione degli ebrei ultraortodossi dal servizio militare in Israele. È terminata due giorni fa, per effetto di una pronuncia della Corte suprema, dopo anni di rinvii. Si tratta di una questione delicata che divide la società israeliana, sullo sfondo della guerra tra Israele e i palestinesi di Hamas. Il servizio militare è obbligatorio in Israele, ma gli ultraortodossi hanno potuto fin qui evitare la coscrizione se dedicano il loro tempo allo studio dei testi sacri dell’ebraismo. L’esenzione fu decisa da Ben- Gurion all’atto della creazione dello Stato di Israele nel 1948, inizialmente per 400 giovani, ma oggi riguarda 66mila uomini tra i 18 e i 26 anni. La legge che la permetteva è stata invalidata nel 2012 dalla Corte Suprema che ha chiesto una riforma, ma i governi e i partiti ultraortodossi che si sono succeduti hanno sempre concluso accordi provvisori, senza mai riuscire a trovare una soluzione.
Già a fine 2018 il governo Netanyahu cadde su questa questione, innescando una crisi politica. L’anno scorso un provvedimento del governo aveva rinviato tutto fino al 31 marzo 2024. E fino ad ora il governo non è riuscito a trovare un compromesso che soddisfi tutti, con il ministro del gabinetto di guerra Benny Gantz che minaccia di andarsene se verrà approvata un’altra estensione dell’esenzione e i partiti ultraortodossi pronti a fare altrettanto se l’esenzione non sarà rinnovata