Autonomia strategica e obiettivi climatici nodi dello sviluppo
Transizione energetica
La recente strategia europea di politica industriale ha come obiettivo una autonomia strategica “aperta” per la gestione della « Duplice transizione » : verde e digitale. Oltre a rafforzare o mantenere la competitività nazionale in maniera sostenibile e inclusiva uno degli obiettivi principali è quello di “derisk”, riducendo le dipendenze strategiche dell’Europa nelle catene del valore delle tecnologie pulite.
Ad esempio, la Commissione europea ha approvato una sovvenzione di 292,5 milioni di euro del governo italiano per la costruzione di un impianto di produzione di substrati di carburo di silicio della STMicroelectronics in Sicilia.
In questo contesto si colloca anche il recente stanziamento di circa 90 milioni di euro dal Pnrr italiano per la 3Sun Gigafactory a Catania. Situata nella cosiddetta “Etna Valley”, la vivace zona industriale di Catania specializzata in elettronica e semiconduttori, la fabbrica 3Sun è stata inaugurata nel luglio 2011. Da allora, la fabbrica è passata alla produzione di pannelli solari fotovoltaici di ultima generazione, più efficiente sul mercato. L’impresa, di proprietà di Enel green power, aveva già beneficiato nell’aprile 2022, di un finanziamento di 118 milioni di euro dalla Commissione europea per ampliare l’impianto. Con questa evoluzione e i nuovi 90 milioni di euro del Pnrr, il sito, che oggi produce circa 200 MW all’anno, dovrebbe fornire circa 3 GW all’anno ( o 15.000 moduli solari al giorno). In termini di creazione di posti di lavoro, secondo l’Enel, questo investimento dovrebbe creare circa 650 posti di lavoro diretti e molti altri indirettamente nel distretto tecnologico di Catania.
L’espansione della 3Sun Gigafactory si inserisce quindi a pieno titolo negli obiettivi della autonomia strategica aperta. Tuttavia, è necessario valutare il costo opportunità di perseguire obiettivi climatici mantenendo le ambizioni di autonomia strategica.
Oggi la Cina è il più grande ed efficiente produttore di pannelli e domina la catena di fornitura del fotovoltaico ( Cff) in almeno l’ 80% di tutte le fasi necessarie per la produzione di pannelli solari. Il modo più rapido ed economico per implementare le tecnologie dei pannelli solari in Europa sarebbe quindi affidarsi alle importazioni di pannelli solari cinesi ( il 95% delle installazioni oggi in Europa). I politici europei e italiani temono, tuttavia, che questa dipendenza impedirebbe lo sviluppo di competenze locali in un settore così strategico ed esporrebbe il continente a rischi di dipendenza analoghi a quelli appena sperimentati con il gas russo. Sebbene questa preoccupazione sia legittima, l’analogia con il gas naturale russo è fuorviante e la tentazione di rispondere con un approccio protezionistico dovrebbe essere mitigata.
Oggi l’Europa è particolarmente dipendente dai segmenti midstream e downstream del Cff. La storia delle politiche di “import substitution” ci insegna che queste hanno funzionato in Paesi come la Corea del Sud ed il Giappone per permettere il loro sviluppo industriale, in una logica di “infant industry”.
Le politiche di autonomia strategica non sono esattamente in linea con una logica di protezionismo dell’industria nascente ma hanno come obiettivo la chiusura del commercio internazionale in nome di un concetto ( nuovo per le politiche industriali tradizionali) di “economic security”, anche quando il commercio internazionale sarebbe la scelta più efficiente, sia dal punto di vista dell’importatore per ragioni di costo, che per l’esportatore di segmenti midstream in termini di possibili ritorni di trasferimento tecnologico. Quindi il tentativo di “sostituire l’importazione” di tutti i componenti del Cff potrebbe rivelarsi inutile e dannoso per gli obiettivi net zero.
L’Europa dovrebbe invece sviluppare una posizione dominante in quei segmenti critici e ad alta intensità di conoscenza in cui può essere più competitiva, ad esempio in ricerca e sviluppo, piuttosto che dell’assemblaggio dei pannelli. Sarebbe quindi strategico evitare un crowding- out di risorse pubbliche che sarebbe necessario alla ricerca di frontiera piuttosto che l’assemblaggio dei pannelli solari.