La visione imperiale di Putin e il ruolo della Nato, sistema di sicurezza collettiva
Èindubbio che l’aggressione russa all’Ucraina abbia rappresentato una sfida straordinaria per L’Europa. Per la prima volta dal 1945, la guerra tra Stati è ritornata nel nostro continente, generando morte e distruzione come non si erano viste da allora. Si è trattato di uno shock tremendo per le opinioni pubbliche e le leadership europee, specialmente perché, con la fine della Guerra Fredda ( tra il 1989 e il 1991), esse avevano ritenuto che il mondo si avviasse verso “la fine della storia”, così come venne concettualizzata da Francis Fukuyama.
Era diventata un’opinione diffusa che il dopo Guerra Fredda fosse destinato a sostituire la guerra con i commerci, il conflitto con la negoziazione, la forza con il diritto. L’Unione europea ( Ue) poteva così diventare una potenza civile, un gigante regolatorio, un’organizzazione finalizzata a diffondere diritti e a regolare i mercati. L’utopia del filosofo tedesco Immanuel Kant ( 1724- 1804) di una pace perpetua tra i popoli sembrava, finalmente, a portata di mano. In questo modo, i principali Paesi europei ( a cominciare dalla Germania) avevano progressivamente costruito un modello di crescita altamente profittevole, basato su energia a basso costo proveniente dalla Russia e su mercati in continua espansione come quelli asiatici ( cinese in particolare). Il benessere degli europei era finito così per dipendere da due potenze autoritarie, ora interpretate come partner commerciali. Nel frattempo, il lavoro sporco di garantire la sicurezza degli europei continuava ad essere lasciato agli americani, anche perché la sicurezza era ritenuta essere una preoccupazione ridondante nel mondo del dopo Guerra Fredda. Tant’è che uno dei principali leader europei ( il presidente francese Emmanuel Macron) arrivò a dichiarare ( in un’intervista all’Economist del novembre 2019) che l’organizzazione militare ( la Nato), guidata dagli americani e costruita nel 1949 per garantire la sicurezza europea, viveva ormai in « uno stato di morte cerebrale » . Se il 22 febbraio 2022 conclude il dopo Guerra Fredda, con l’aggressione ingiustificata all’Ucraina si sgretola anche un’idea ingenua di globalizzazione. L’aggressività di Putin ha messo in discussione il principio di reciproco riconoscimento delle sovranità statali ( che la Russia sarebbe stata tenuta a proteggere in quanto membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite). Per lui, la sicurezza del proprio Paese vale molto di più di quella dell’Ucraina. Dopo tutto, ha ricordato Timothy Garton Ash, ci eravamo dimenticati di un antico proverbio russo, secondo il quale « la pace perpetua dura fino alla prossima guerra » . In una campagna propagandistica da guerra ideologica, il presidente russo ha disinvoltamente modificato, da un giorno all’altro, le giustificazioni dell’invasione, per quindi concludere che essa è stata dovuta alla necessità di difendersi dalle mire imperialistiche della Nato.
L’aggressione all’Ucraina non è stata motivata dalla necessità di “de- nazificare” il regime di Kiev oppure dalla volontà di ricomporre l’unità del mondo russo ( Russkiy Mir), piuttosto dalla necessità di fermare l’espansione dell’impero americano. Motivazioni che hanno trovato ascolto anche in settori ( minoritari) dell’opinione pubblica italiana, tradizionalmente antiamericani e prorussi. In realtà, come ha scritto Andrei Kolesnikov, quello di Putin è stato ( e continua ad essere) un esercizio di puro potere imperiale, giustificato da una potente cultura nazionalista, finalizzato a ricostruire la sfera di influenza della Russia, come impero- nazione. Nella visione imperiale di Putin, non esistono popoli che possono esprimere liberamente le proprie volontà. Ancora meno esistono regimi democratici in cui gli elettori, e i loro rappresentanti parlamentari, possono decidere di mettere in sicurezza la loro riacquisita libertà aderendo ad un sistema di sicurezza collettiva come la Nato. Ancora di meno esiste l’Ucraina come Stato sovrano, come hanno argomentato Maria Popova e Oxana Shevel.
Per Putin esistono solamente i “capi” delle grandi potenze, impegnati in una battaglia per il potere internazionale a cui i cittadini partecipano solamente come carne da cannone. Per lui, è inconcepibile che i cittadini dei Paesi dell’Europa orientale, appena liberatasi dal giogo sovietico, potessero decidere liberamente dove collocarsi sul piano geopolitico. Per lui, l’adesione alla Nato di quei Paesi è stato il risultato della “decisione imperiale” americana di circondare la Russia, decisione che si è imposta contro la volontà dei loro cittadini. L’argomento di Putin ha trovato addirittura l’ascolto, inizialmente anche l’approvazione, di personalità internazionali come Papa Francesco. Ma, soprattutto, l’aggressività russa è stata giustificata da studiosi di scuola “realista” ( come John Mearsheimer e inizialmente anche Henry Kissinger), perché interpretata come il tentativo di ribilanciare i rapporti di potere in Europa che avevano favorito l’America con la fine della Guerra Fredda. Dopo tutto, per i realisti, la politica internazionale è un confronto tra grandi potenze, preoccupate esclusivamente della loro sicurezza, indipendentemente dalla natura del loro regime interno. Mai come in questa situazione, si è vista la debolezza scientifica del realismo, per il quale l’esigenza della sicurezza va riconosciuta ai grandi ma non ai piccoli Paesi. Fatto sta che l’Ucraina ha resistito valorosamente all’aggressione, aiutata dalla forza militare dell’America e da quella economica dell’Europa. In quella guerra, in gioco non c’è solame nte la sovranità nazionale dell’Ucraina, ma anche il destino della democrazia in Europa. Una soluzione negoziale alla guerra andrà trovata, ma “occorre essere in due per ballare il tango”. (...)
Non è stata fissata la data per l’entrata dell’Ucraina nella Nato, ma è stato rafforzato l’impegno della Nato ad aiutare militarmente l’Ucraina a contrastare la Russia. Nella riunione dei capi di governo dei 31 Paesi che costituiscono la Nato ( tenutasi a Vilnius, in Lituania, l’ 11 e il 12 luglio scorsi) ha vinto la continuità: continuare a combattere la Russia, senza dichiararle guerra. Una continuità operativa sostenuta da una chiarezza strategica.
Contrariamente alle incertezze che ancora sopravvivevano nella riunione della Nato a Madrid del 29- 30 giugno dell’anno scorso, a Vilnius nessun capo di governo ( neppure il turco Recep Erdogan) ha mostrato di avere dubbi sulla natura del regime russo, aggressivo e imperialista per sua dinamica endogena e non già per reazione a sfide esogene. La Russia non solamente è un Paese politicamente inaffidabile, ma è un Paese strutturalmente pericoloso.