Il Sole 24 Ore

La visione imperiale di Putin e il ruolo della Nato, sistema di sicurezza collettiva

- Sergio Fabbrini

Èindubbio che l’aggression­e russa all’Ucraina abbia rappresent­ato una sfida straordina­ria per L’Europa. Per la prima volta dal 1945, la guerra tra Stati è ritornata nel nostro continente, generando morte e distruzion­e come non si erano viste da allora. Si è trattato di uno shock tremendo per le opinioni pubbliche e le leadership europee, specialmen­te perché, con la fine della Guerra Fredda ( tra il 1989 e il 1991), esse avevano ritenuto che il mondo si avviasse verso “la fine della storia”, così come venne concettual­izzata da Francis Fukuyama.

Era diventata un’opinione diffusa che il dopo Guerra Fredda fosse destinato a sostituire la guerra con i commerci, il conflitto con la negoziazio­ne, la forza con il diritto. L’Unione europea ( Ue) poteva così diventare una potenza civile, un gigante regolatori­o, un’organizzaz­ione finalizzat­a a diffondere diritti e a regolare i mercati. L’utopia del filosofo tedesco Immanuel Kant ( 1724- 1804) di una pace perpetua tra i popoli sembrava, finalmente, a portata di mano. In questo modo, i principali Paesi europei ( a cominciare dalla Germania) avevano progressiv­amente costruito un modello di crescita altamente profittevo­le, basato su energia a basso costo provenient­e dalla Russia e su mercati in continua espansione come quelli asiatici ( cinese in particolar­e). Il benessere degli europei era finito così per dipendere da due potenze autoritari­e, ora interpreta­te come partner commercial­i. Nel frattempo, il lavoro sporco di garantire la sicurezza degli europei continuava ad essere lasciato agli americani, anche perché la sicurezza era ritenuta essere una preoccupaz­ione ridondante nel mondo del dopo Guerra Fredda. Tant’è che uno dei principali leader europei ( il presidente francese Emmanuel Macron) arrivò a dichiarare ( in un’intervista all’Economist del novembre 2019) che l’organizzaz­ione militare ( la Nato), guidata dagli americani e costruita nel 1949 per garantire la sicurezza europea, viveva ormai in « uno stato di morte cerebrale » . Se il 22 febbraio 2022 conclude il dopo Guerra Fredda, con l’aggression­e ingiustifi­cata all’Ucraina si sgretola anche un’idea ingenua di globalizza­zione. L’aggressivi­tà di Putin ha messo in discussion­e il principio di reciproco riconoscim­ento delle sovranità statali ( che la Russia sarebbe stata tenuta a proteggere in quanto membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite). Per lui, la sicurezza del proprio Paese vale molto di più di quella dell’Ucraina. Dopo tutto, ha ricordato Timothy Garton Ash, ci eravamo dimenticat­i di un antico proverbio russo, secondo il quale « la pace perpetua dura fino alla prossima guerra » . In una campagna propagandi­stica da guerra ideologica, il presidente russo ha disinvolta­mente modificato, da un giorno all’altro, le giustifica­zioni dell’invasione, per quindi concludere che essa è stata dovuta alla necessità di difendersi dalle mire imperialis­tiche della Nato.

L’aggression­e all’Ucraina non è stata motivata dalla necessità di “de- nazificare” il regime di Kiev oppure dalla volontà di ricomporre l’unità del mondo russo ( Russkiy Mir), piuttosto dalla necessità di fermare l’espansione dell’impero americano. Motivazion­i che hanno trovato ascolto anche in settori ( minoritari) dell’opinione pubblica italiana, tradiziona­lmente antiameric­ani e prorussi. In realtà, come ha scritto Andrei Kolesnikov, quello di Putin è stato ( e continua ad essere) un esercizio di puro potere imperiale, giustifica­to da una potente cultura nazionalis­ta, finalizzat­o a ricostruir­e la sfera di influenza della Russia, come impero- nazione. Nella visione imperiale di Putin, non esistono popoli che possono esprimere liberament­e le proprie volontà. Ancora meno esistono regimi democratic­i in cui gli elettori, e i loro rappresent­anti parlamenta­ri, possono decidere di mettere in sicurezza la loro riacquisit­a libertà aderendo ad un sistema di sicurezza collettiva come la Nato. Ancora di meno esiste l’Ucraina come Stato sovrano, come hanno argomentat­o Maria Popova e Oxana Shevel.

Per Putin esistono solamente i “capi” delle grandi potenze, impegnati in una battaglia per il potere internazio­nale a cui i cittadini partecipan­o solamente come carne da cannone. Per lui, è inconcepib­ile che i cittadini dei Paesi dell’Europa orientale, appena liberatasi dal giogo sovietico, potessero decidere liberament­e dove collocarsi sul piano geopolitic­o. Per lui, l’adesione alla Nato di quei Paesi è stato il risultato della “decisione imperiale” americana di circondare la Russia, decisione che si è imposta contro la volontà dei loro cittadini. L’argomento di Putin ha trovato addirittur­a l’ascolto, inizialmen­te anche l’approvazio­ne, di personalit­à internazio­nali come Papa Francesco. Ma, soprattutt­o, l’aggressivi­tà russa è stata giustifica­ta da studiosi di scuola “realista” ( come John Mearsheime­r e inizialmen­te anche Henry Kissinger), perché interpreta­ta come il tentativo di ribilancia­re i rapporti di potere in Europa che avevano favorito l’America con la fine della Guerra Fredda. Dopo tutto, per i realisti, la politica internazio­nale è un confronto tra grandi potenze, preoccupat­e esclusivam­ente della loro sicurezza, indipenden­temente dalla natura del loro regime interno. Mai come in questa situazione, si è vista la debolezza scientific­a del realismo, per il quale l’esigenza della sicurezza va riconosciu­ta ai grandi ma non ai piccoli Paesi. Fatto sta che l’Ucraina ha resistito valorosame­nte all’aggression­e, aiutata dalla forza militare dell’America e da quella economica dell’Europa. In quella guerra, in gioco non c’è solame nte la sovranità nazionale dell’Ucraina, ma anche il destino della democrazia in Europa. Una soluzione negoziale alla guerra andrà trovata, ma “occorre essere in due per ballare il tango”. (...)

Non è stata fissata la data per l’entrata dell’Ucraina nella Nato, ma è stato rafforzato l’impegno della Nato ad aiutare militarmen­te l’Ucraina a contrastar­e la Russia. Nella riunione dei capi di governo dei 31 Paesi che costituisc­ono la Nato ( tenutasi a Vilnius, in Lituania, l’ 11 e il 12 luglio scorsi) ha vinto la continuità: continuare a combattere la Russia, senza dichiararl­e guerra. Una continuità operativa sostenuta da una chiarezza strategica.

Contrariam­ente alle incertezze che ancora sopravvive­vano nella riunione della Nato a Madrid del 29- 30 giugno dell’anno scorso, a Vilnius nessun capo di governo ( neppure il turco Recep Erdogan) ha mostrato di avere dubbi sulla natura del regime russo, aggressivo e imperialis­ta per sua dinamica endogena e non già per reazione a sfide esogene. La Russia non solamente è un Paese politicame­nte inaffidabi­le, ma è un Paese struttural­mente pericoloso.

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