Il Sole 24 Ore

L’India diventa l’Eldorado delle Ipo: sempre più matricole estere in Borsa

Da Hyundai a Suzuki a Fila: le multinazio­nali internazio­nali quotano sul listino indiano le succursali locali, per sfruttare i multipli elevati e la crescita del Paese. Mumbai è stata la terza Borsa mondiale con più Ipo nel 2024

- Marco Masciaga Dal nostro corrispond­ente

Le succursali estere che si quotano in India strappano multipli tra 2 e 6 volte superiori a quelli della casa madre

rally dei mercati borIndiani (+ 29% in 12 mesi) sta regalando più di una soddisfazi­one non solo alla piccola, ma crescente, minoranza di investitor­i locali. Ma anche a quelle multinazio­nali straniere che, forti di una presenza radicata nel Paese, hanno deciso di quotare le proprie sussidiari­e per cavalcare l’onda lunga del boom della quinta economia mondiale.

Il primo trimestre del 2024 si è chiuso bene per i mercati del Subcontine­nte. Secondo i dati raccolti dal London Stock Exchange Group ( Lseg), le società indiane che si sono quotate dal primo gennaio a oggi hanno raccolto circa 2,3 miliardi di dollari, 12 volte di più rispetto a un anno fa. Le operazioni Ecm ( equity capital market) sono aumentate del 139%, facendo dell’India la piazza più dinamica dell’Asia. Il National Stock Exchange ( Nse), la più grande delle due Borse di Mumbai, è stata la terza piazza al mondo nella classifica delle Ipo, dopo il Nyse e il Nasdaq. « Stiamo vedendo operazioni da un miliardo di dollari e oltre – spiega Rahul Saraf, responsabi­le dell’investment bankingdi banking di Citigroup in India – il livello di attività e la pipeline non hanno precedenti » . La conferma viene dai dati di Primedatab­ase: le società che hanno già incassato l’autorizzaz­ione a quotarsi nell’anno fiscale iniziato lo scorso 1° aprile sono 19 per complessiv­i 3 miliardi di dollari.

Tra le società globali che stanno progettand­o la quotazione delle proprie operazioni locali, il nome più grosso è Hyundai. Il colosso coreano dell’auto è entrato sul mercato indiano prima e meglio di altri e, grazie a due stabilimen­ti e una quota di mercato del 15%, certi mesi vende più di un player autenticam­ente locale come Tata Motors. In seguito a quanto sembra essere emerso dai colloqui con le banche interessat­e al collocamen­to, la succursale indiana del gruppo di Seul viene valutata tra i 22 e i 30 miliardi di dollari. Una forchetta che va da poco meno della metà a due terzi della capitalizz­azione della casa madre ( 45 miliardi). Nell’anno fiscale 2023- 24 appena concluso, Hyundai Motor India dovrebbe mettere a bilancio un utile operativo di circa 1,1 miliardi di dollari. La quotazione invece dovrebbe portare nelle casse della società altri 3 miliardi, battendo così il record stabilito nel 2022 dall’Ipo della Life Insurance Corporatio­n of India ( Lic).

Restando nel settore dell’automotive, il caso più clamoroso di una coda in grado di muovere il cane a cui è attaccata è quello di Maruti Suzuki. Anche in questo caso essere sbarcati in India per tempo è stato cruciale ( da principio i giapponesi avevano come partner locale nientemeno che il governo). Oggi la controllat­a indiana del gigante nipponico detiene una quota di mercato di oltre il 40% e ha un forward priceto- earnings ratio a 12 mesi di 25 ( la casa madre, 11). Non solo, capitalizz­a più di 47 miliardi di dollari, più del doppio di Suzuki Motor Corp. che, pur controllan­do il 58,19% di Maruti, non arriva a 23 miliardi.

Su una scala più piccola – in termini assoluti, ma non di multipli – è quello che è successo all’italiana Fila, quando ha quotato all’Nse di Mumbai la sua società indiana Doms. Oggi la succursale con base nello Stato occidental­e del Gujarat capitalizz­a oltre un miliardo di euro, più del triplo della casa madre. Dopo l’Ipo, la partecipaz­ione in Doms della società guidata dal presidente Giovanni Gorno Tempini e dal Ceo Massimo Candela è scesa al 30,6%, una quota che vale circa 356 milioni di euro. Il titolo indiano, dopo essere stato collocato a dicembre a 790 rupie, ieri ha chiuso a più del doppio, a quota 1.606.

Un prezzo che, come in altri casi di controllat­e, tiene conto di diverse cose. Sicurament­e delle prospettiv­e di crescita offerte dall’India e dai suoi oltre 1,4 miliardi di abitanti. Ma anche delle garanzie – non ultimo in materia di governance – legate al fatto di dipendere da holding con le radici ben salde in Paesi dove i mercati dei capitali sono più maturi e regolament­ati.

Il clima di questi mesi sta spingendo alcune multinazio­nali a fare delle block trade di pacchetti di azioni delle succursali indiane. A volte l’operazione serve a ridurre l’indebitame­nto della casa madre, altre a liberare risorse da investire in nuovi settori. Nel corso dell’ultimo anno, hanno imboccato questa strada, tra gli altri, Whirlpool che ha venduto il 24% della sua controllat­a indiana, e Fairbridge Capital che ha ceduto l’ 8,5% di Thomas Cook India. Secondo i media locali, all’elenco potrebbe aggiungers­i Novartis che oggi detiene il 70% della sua controllat­a con sede a Mumbai.

Una recente analisi che ha preso in consideraz­ione i forward priceto- earnings ratio a 12 mesi delle succursali indiane di multinazio­nali straniere ha evidenziat­o valori oscillanti tra 2 e 6 volte quello della casa madre. Un fenomeno che si spiega in parte con la struttura di diversi settori produttivi indiani in cui le società locali partecipat­e da multinazio­nali hanno offerto per anni prodotti non facilmente replicabil­i localmente, che gli hanno consentito di controllar­e quote di mercato superiori rispetto a quanto sarebbe accaduto in economie più mature. Oggi che il vantaggio competitiv­o delle controllat­e indiane rischia di venire eroso dall’emergere diplayer locali, i robusti tassi di crescita del Paese spesso compensano la maggiore concorrenz­a, garantendo che la torta cresca per tutti.

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L’ingresso del Bombay Stock Exchange a Mumbai REUTERS La corsa delle Ipo.

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