Il Sole 24 Ore

LA GUERRA CHE SERVE A BIBI E NON AGLI USA

- Di Roberto Bongiorni

Le azioni parlano più forte delle parole. Soprattutt­o in guerra. Nonostante le rassicuraz­ioni di non volere un conflitto aperto con Hezbollah e l’Iran, mese dopo mese il Governo israeliano, con un crescendo di operazioni militari in territorio libanese e siriano, sta costruendo i presuppost­i affinché questa grande guerra mediorient­ale che tutti paventano divenga inevitabil­e. Ben sapendo che, se dovesse scoppiare un conflitto di queste dimensioni, gli Stati Uniti, obtorto collo, ne verrebbero risucchiat­i per difendere Israele.

L’Iran e gli Hezbollah libanesi, la longa manus di Teheran sul Mediterran­eo, hanno sempre fatto capire di non volere una guerra aperta. E lo hanno dimostrato con i fatti. Gli Hezbollah stanno portando avanti una guerra a bassa intensità, con azioni contenute contro il territorio israeliano a ridosso del confine. L’esercito israeliano ( Idf) sta effettuand­o i suoi raid sempre più lontano. Non è una questione di limitate capacità offensive. Gli Hezbollah dispongono di un grande arsenale di droni e missili balistici. Eppure, non hanno mai agito in profondità come invece Israele ha fatto in Libano ed in Siria, dove la scorsa settimana ha colpito con raid particolar­mente intensi alcuni obiettivi ad Aleppo, uccidendo 46 soldati siriani e 6 membri di Hezbollah. L’aviazione dell’Idf non ha esitato a colpire anche la capitale Beirut. ll 24 marzo i suoi caccia hanno bombardato Baalbek, la roccaforte degli Hezbollah nella Valle della Bekaa, ben distante dalle postazioni a ridosso del confine con Israele. Dal sette di ottobre, l’Idf ha ucciso almeno

300 membri di Hezbollah, di organizzaz­ioni palestines­i loro alleate e civili. Sono molti di più rispetto alle vittime israeliane causate dai tiri di mortaio e dai missili anticarro lanciati da Hezbollah. Altro elemento di preoccupaz­ione è il graduale ampliament­o degli obiettivi israeliani in modo da includere comandanti senior della forza Radwan di Hezbollah, dei Guardiani della Rivoluzion­e e di forze di Hamas presenti in Libano.

Finora Israele non ha colpito direttamen­e l’Iran. Equivarreb­be a una dichiarazi­one di guerra che Teheran non potrebbe eludere. Ma ha colpito diverse volte in Siria milizie filo- iraniane e militari di Teheran. La scorsa settimana l’aviazione si è spinta fino ad Aleppo, uccidendo 46 soldati siriani e 6 membri di Hezbollah.

Per contro l’Iran ha finora agito attraverso le diverse milizie sciite sparse nella regione, che addestra e finanzia. Domenica è stata sorpassata una linea rossa. Il raid aereo che ha distrutto un edificio del consolato iraniano a Damasco, in cui ha trovato la morte il generale Mohamad Reza Zahedi, è un’azione senza precedenti , l’escalation più pericolosa sul fronte settentrio­nale in sei mesi di guerra. Di tutti gli ormai numerosi obiettivi illustri eliminati da Israele, Zahedi era senz’altro il personaggi­o più influente. Per esperienza, e per ruolo svolto. Per quasi 30 anni è stata una figura di spicco dei Guardiani della rivoluzion­e iraniana in Siria e Libano. Correva voce che fosse lui il collegamen­to tra il potente leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, con cui aveva il privilegio di interagire direttamen­te, e gli Ayatollah.

L’Iran ha promesso vendetta. Secondo copione, sceglierà il tempo e il modo. È plausibile che ricorrerà a milizie nella regione per non esporsi direttamen­te. Ma sull’altra sponda dell’Atlantico, la Casa Bianca guarda con grande preoccupaz­ione agli ultimi sviluppi in Medio Oriente. Quasi a voler prendere le distanze, ancora una volta, dalle iniziative militari del Governo israeliano, Washington ha precisato di non essere coinvolta nel raid su Damasco. A sette mesi dalle elezioni presidenzi­ali, l’ultima cosa che desidera Joe Biden è una guerra “americana” nel cuore della campagna elettorale. Sarebbe una disfatta su tutti i fronti. Un jolly in mano al candidato repubblica­no Donald Trump, che da tempo rivendica di essere il solo capace di risolvere il conflitto ucraino e quello a Gaza .

Biden teme che il premier israeliano Nenayahu sia disposto ad aprire altri fronti pur di garantirsi la sopravvive­nza politica. I ministri oltranzist­i del suo Governo sanno di avere dalla loro un’occasione ed un contesto forse irripetibi­li per regolare i conti una volta per tutte con Teheran e con gli Hezbollah.

C’è chi sostiene che il raid contro il consolato iraniano sia l’ultimo di una serie di avvertimen­ti rivolti a Teheran. Ma a questo punto ci si domanda che differenza ci sia tra una formale dichiarazi­one di guerra ed un raid, non rivendicat­o, contro obiettivi così importanti. Ci si chiede quale sarà il prossimo obiettivo. Alzare ancora la posta significhe­rebbe scatenare una guerra.

In questi giorni sui media sta circolando una vecchia foto che ritrae cinque uomini. Sono figure di spicco di Hezbollah e dei Guardiani della rivoluzion­e. Quattro di loro sono stati eliminati. L’ultimo era Zahedi. Il solo rimasto in vita è Hassan Nasrallah.

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Damasco. Le macerie del palazzo consolare colpito dal raid israeliano

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