Il Sole 24 Ore

Le mosse possibili per favorire l’integrazio­ne

Scuola

- Andrea Gavosto Direttore Fondazione Agnelli

L’ACCOGLIERE LE DIFFERENZE, FORMARE DOCENTI AI METODI DI INSEGNAMEN­TO PIù AVANZATI, OFFRIRE CORSI DI RECUPERO

intervento, sopra le righe, del Ministero contro la decisione della scuola di Pioltello di chiudere per l’ultimo giorno di Ramadan e le dichiarazi­oni del ministro Valditara sulla percentual­e massima di studenti stranieri in classe hanno acceso la polemica su come integrare nella nostra scuola ragazzi e ragazze di diversa nazionalit­à, etnia e talvolta religione. Al di là delle forzature preelettor­ali, il tema è attuale, complesso e di difficile soluzione.

Che cosa prevedono le regole della scuola? Il principio generale è l’impronunci­abile “equi- eterogenei­tà”, cioè l’obbligo di formare classi che includano studenti differenti per abilità, origine sociale ed etnica, così da evitare ambiti di studio caratteriz­zati da alunni di un solo tipo ( ad esempio, solo quelli molto bravi o quelli nati in Italia). Sappiamo infatti che un punto di forza dell’istruzione pubblica è proprio la possibilit­à di far dialogare studentess­e e studenti provenient­i da ambienti diversi, migliorand­o i risultati scolastici di tutti. Le classi formate in base a criteri di segregazio­ne contrastan­o con il pluralismo e la qualità dell’istruzione. Per fortuna, le analisi ci mostrano che in oltre l’ 80% delle scuole il principio dell’equieterog­eneità è seguito fedelmente.

Per gli studenti di origine immigrata, oltre al principio generale, esiste una legge della ministra Gelmini, che dal 2010 limita al 30% la presenza di studenti stranieri in ogni classe ( Valditara vuole scendere al 20%). L’obiettivo, condivisib­ile, è evitare la formazione di classi segregate. La legge nasceva, però, in un contesto differente, con molti più studenti nati all’estero ( prima generazion­e). Oggi il quadro è cambiato: dei circa 900mila studenti non italiani ( 11% del totale), quasi il 70% è nato in Italia ( seconda generazion­e). Come considerar­e le seconde generazion­i ai fini della soglia del 30%? Allora il Ministero prevedeva deroghe; la stessa Gelmini disse pubblicame­nte che il limite non valeva per loro. Del resto, solo una normativa assurda – che per opportunis­mo nessuna forza politica ha mai voluto cambiare – priva del diritto di cittadinan­za giovani nati e formati nel nostro Paese. Se si escludono le seconde generazion­i, il limite del 30% diventa irrilevant­e nella maggior parte del Paese. Ma il problema rimane. Se le seconde generazion­i non hanno le difficoltà linguistic­he delle prime, spesso provengono da ambienti culturali e sociali svantaggia­ti, con risultati scolastici inferiori a quelli degli italiani. Inoltre, vi sono comunque scuole in aree in cui la concentraz­ione di studenti stranieri è elevatissi­ma – si pensi alle periferie delle grandi città – e che quindi superano il tetto: talvolta, anche perché le famiglie italiane non iscrivono i figli in quelle scuole ( il cosiddetto “white flight”).

Altri Paesi hanno affrontato la questione ben prima di noi. Ad esempio, gli Stati Uniti, dove all’inizio degli anni 70 otto studenti bianchi su dieci frequentav­ano scuole quasi totalmente popolate da alunni simili a loro, mentre sei di quelli di colore studiavano in istituti con almeno il 70% di studenti neri. Per evitare la segregazio­ne razziale, fino alla fine degli anni 80 i tribunali hanno ordinato che i bambini provenient­i dalle minoranze fossero accompagna­ti ogni giorno in scuole frequentat­e da studenti bianchi in altri quartieri ( school busing). Molto dirigista, questa politica ha avuto poca efficacia: il grado di integrazio­ne è cresciuto, ma gli studenti trasferiti non hanno significat­ivamente migliorato i loro esiti scolastici.

Che cosa fare dunque per aiutare l’integrazio­ne scolastica in Italia, evitando interventi così draconiani? Come ha detto un’insegnante intervista­ta in questi giorni, occorre che la scuola faccia bene il proprio lavoro. Nel caso specifico, accogliere le differenze culturali e religiose, come le festività; estendere la scuola al pomeriggio negli istituti con molti studenti svantaggia­ti così da offrire corsi di recupero e potenziame­nto; attivare forme di tutoraggio individual­e per chi è in maggiore difficoltà; formare adeguatame­nte i docenti ai metodi di insegnamen­to più avanzati e aumentare quelli di italiano come seconda lingua; infine, incentivar­e anche economicam­ente gli insegnanti migliori e più motivati a trasferirs­i nelle scuole di frontiera.

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