LA CASA AI FIGLI NON è GARANZIA DI SERENITà
Ha fatto molto discutere nei giorni scorsi la sentenza della Corte d’Appello di Torino che ha stabilito che i genitori separati debbano alternarsi per tempi paritetici nella casa familiare, nella quale rimarranno stabilmente i figli ( si veda Il Sole 24 Ore del 26 marzo). La Corte torinese ricava la sua conclusione da due premesse che paiono condivisibili. Se i genitori separati sono entrambi bravi genitori e sono entrambi disponibili a occuparsi dei figli, non vi è ragione per preferire l’uno all’altro e, quindi, i tempi di permanenza devono essere equamente ripartiti. Poiché lo spostamento di un bambino fra la casa dell’uno e la casa dell’altro genitore può essere un disagio per lui, è meglio prevedere che a spostarsi siano gli adulti. Ecco, quindi, la conclusione: la casa familiare rimarrà la casa dei bambini, che vi staranno a settimane alterne con ciascuno dei genitori; questi dovranno avere anche una casa propria nella quale vivere nei periodi durante i quali non avranno con sé i figli.
Nonostante la logica che sorregge la decisione sia evidente, la soluzione non mi convince. La solidità di un percorso logico va, infatti, misurata alla luce della sostenibilità della conclusione.
Non vi è dubbio che, per alcune famiglie, la soluzione può essere eccellente. Sono però necessari dei requisiti. Innanzitutto, è una soluzione che presuppone disponibilità economiche considerevoli, poiché dovranno essere mantenute tre case anziché due. Ma, soprattutto, la soluzione presuppone che vi sia un’armonia fra i genitori che consenta di condividere, senza conflitti, la gestione della casa dei bambini.
Ma che cosa accade se la formula della « casa dei bambini » viene imposta a un genitore che non la condivide? Che cosa accade se la conflittualità che ha portato alla fine del matrimonio, permane dopo la separazione? In questi casi, la soluzione torinese non può funzionare. La condivisione di una casa, seppure in tempi diversi, presuppone un minimo di armonia. Se questa manca, la vita quotidiana si trasforma in una sequenza di conflitti, sia su questioni di poca importanza sia su questioni di più ampio respiro, conflitti dei quali i figli saranno spettatori e vittime. E non basta dire che i genitori, nell’interesse dei figli, dovranno superare i loro contrasti. È facile dirlo dall’esterno, ma l’appello è spesso destinato a rimanere un vano proclama, senza che vi sia la possibilità di accertare quali sono le responsabilità per il perdurare del conflitto. Inoltre, si deve tenere conto che, dopo la separazione, ai genitori deve essere concesso di rifarsi una vita e, nella maggior parte dei casi, la soluzione torinese rende impossibile una vita normale, eventualmente con un nuovo compagno.
Sulla base di queste considerazioni, la Cassazione, nel marzo scorso – in relazione a una vicenda nella quale il Tribunale di Bergamo aveva imposto una soluzione simile a quella torinese – ha affermato che l’alternarsi dei genitori presso la casa nella quale continuano a vivere i figli « presuppone una seria e concordata organizzazione dei genitori a ciò funzionale, nel rispetto e nell’esercizio della responsabilità genitoriale di ciascuno » .
I giudici che si occupano della crisi della famiglia decidono sulla vita delle persone e dei loro figli e questo è un compito che richiede grande cautela. L’interesse dei minori passa attraverso la costruzione di una soluzione in cui tutti, anche i genitori, possono avere una vita serena e normale. Imporre che i genitori si alternino fra due case, delle quali una condivisa con una persona dalla quale ci si è appena separati, non è un presupposto per la serenità di adulti e bambini.