PER APRIRE LA FASE DEI TAGLI MANCA UNA FRENATA NEI SERVIZI
Bene, ma non benissimo. L’inflazione di Eurolandia cala, ma i segnali che il dato flash trasmette non danno al Consiglio direttivo della
Banca centrale europea quella fiducia nel ritorno della velocità dei prezzi all’obiettivo del 2% considerata necessaria per ridurre il costo ufficiale del credito a brevissimo termine. La riunione dell’ 11 aprile difficilmente si chiuderà con un taglio dei tassi – ma in pochi ormai ci speravano – mentre le aspettative continuano a concentrarsi sul meeting del 6 giugno e su quelli successivi.
Il dato flash di marzo segna un ulteriore calo al 2,4%, dal 2,6% di febbraio: è lo stesso livello – va ricordato per segnalare quanto sia accidentato il ritorno al 2% – registrato a novembre 2023. L’incremento mensile è dello 0,8%, piuttosto sostenuto come spesso a marzo. L’indice core – escludendo solo energia e alimentari non lavorati – risulta in aumento del 3,1% annuo, anche qui con un rallentamento rispetto a febbraio.
Fin qui, i dati mostrano una flessione incoraggiante: è da ottobre 2022 che l’inflazione complessiva, con l’unica eccezione di novembre, è in un trend discendente. Il calo ha però rallentato negli ultimi mesi e questa frenata potrebbe consigliare prudenza: il grande timore dei banchieri centrali – a parte la ripresa dell’inflazione scatenata da un taglio prematuro – è che la velocità dei prezzi si stabilizzi ma a un livello superiore all’obiettivo, lasciando tutti gli operatori economici, e gli stessi banchieri centrali nel dubbio: è un’inflazione ancorata, o può accelerare improvvisamente?
A rendere il quadro più tranquillizzante c’è la flessione dell’inflazione core, quella effettivamente controllata dalla politica monetaria, che appare costante da un anno esatto: ogni mese ha perso in media 0,4 punti percentuali e il trend appare consolidato.
È il dettaglio dell’indice core e i suoi legami con l’economia reale che sono destinati a suscitare preoccupazioni. L’inflazione dei servizi, innanzitutto, che resta ferma al 4% per il quinto mese consecutivo. Il settore ha di recente acquisito una rilevanza inattesa per motivi molto precisi. Questi prezzi sono legati all’andamento del mercato del lavoro, quindi con occupazione e salari. È un comparto ad alta intensità del lavoro, e quindi i prezzi possono risentire dell’andamento dell’occupazione – come nella classica, ed elusiva ( almeno a uno sguardo frettoloso) curva di Phillips – e delle retribuzioni che a loro volta sono condizionate dall’inflazione, se indicizzate, e dalle aspettative di inflazione: quelle più concrete, che danno forma alle trattative sindacali o comunque occupazionali. I prezzi sono inoltre piuttosto rigidi: al riparo, anche se meno di un tempo, dalla concorrenza internazionale, il settore non adegua i suoi listini con la stessa rapidità dei beni non industriali, che non a caso hanno registrato un’inflazione del solo 1,1 per cento. La rigidità dei prezzi, a sua volta, sembra incorporare meglio – spiegano alcune ricerche – le aspettative di inflazione, che sono la componente più importante per l’evoluzione dei prezzi.
Decisamente meno preoccupante è invece il rialzo mensile dei prezzi dei beni non industriali, un + 1,9% che, considerato in maniera isolata, potrebbe far pensare a un surriscaldamento improvviso. In realtà sono qui in gioco fattori puramente stagionali: marzo e settembre sono mesi in cui si assiste spesso a un forte rialzo, che poi si riflette anche sulla variazione mensile dell’indice core (+ 1%). Eliminando queste componenti stagionali, il trend dei beni industriali continua a mostrare una flessione. A differenza di quello dei servizi, che invece mostra la temuta stabilizzazione a livelli elevati ( l’inflazione annua media di lungo periodo del comparto è del 2,1%, contro l’attuale 4%).
Oggi la Bce pubblicherà le minute della riunione del 7 marzo. Saranno importanti per capire se, come sembra, il consenso stia scivolando a favore di un taglio dei tassi a giugno, sul quale tutti ormai scommettono. I dati attuali consigliano qualche prudenza, ma non è impossibile che – in chiave di risk management sulla crescita e per segnalare la fine di una fase “acuta” di infiammazione dei prezzi – la Bce decida un primo taglio tra due meeting.
Più rischiosa sembra la seconda parte di quelle aspettative, quella che scommette su una stagione decisa di tagli, fino a un massimo di 125 punti base entro fine anno che corrisponde a un taglio da 25 punti ogni meeting, per raggiungere il 3,25% per il tasso di rifinanziamento e il 2,75% per quello sui depositi.
La vischiosità dei prezzi dei servizi forse consiglia, almeno oggi, attese più caute.