Il Sole 24 Ore

PER APRIRE LA FASE DEI TAGLI MANCA UNA FRENATA NEI SERVIZI

- di Riccardo Sorrentino

Bene, ma non benissimo. L’inflazione di Eurolandia cala, ma i segnali che il dato flash trasmette non danno al Consiglio direttivo della

Banca centrale europea quella fiducia nel ritorno della velocità dei prezzi all’obiettivo del 2% considerat­a necessaria per ridurre il costo ufficiale del credito a brevissimo termine. La riunione dell’ 11 aprile difficilme­nte si chiuderà con un taglio dei tassi – ma in pochi ormai ci speravano – mentre le aspettativ­e continuano a concentrar­si sul meeting del 6 giugno e su quelli successivi.

Il dato flash di marzo segna un ulteriore calo al 2,4%, dal 2,6% di febbraio: è lo stesso livello – va ricordato per segnalare quanto sia accidentat­o il ritorno al 2% – registrato a novembre 2023. L’incremento mensile è dello 0,8%, piuttosto sostenuto come spesso a marzo. L’indice core – escludendo solo energia e alimentari non lavorati – risulta in aumento del 3,1% annuo, anche qui con un rallentame­nto rispetto a febbraio.

Fin qui, i dati mostrano una flessione incoraggia­nte: è da ottobre 2022 che l’inflazione complessiv­a, con l’unica eccezione di novembre, è in un trend discendent­e. Il calo ha però rallentato negli ultimi mesi e questa frenata potrebbe consigliar­e prudenza: il grande timore dei banchieri centrali – a parte la ripresa dell’inflazione scatenata da un taglio prematuro – è che la velocità dei prezzi si stabilizzi ma a un livello superiore all’obiettivo, lasciando tutti gli operatori economici, e gli stessi banchieri centrali nel dubbio: è un’inflazione ancorata, o può accelerare improvvisa­mente?

A rendere il quadro più tranquilli­zzante c’è la flessione dell’inflazione core, quella effettivam­ente controllat­a dalla politica monetaria, che appare costante da un anno esatto: ogni mese ha perso in media 0,4 punti percentual­i e il trend appare consolidat­o.

È il dettaglio dell’indice core e i suoi legami con l’economia reale che sono destinati a suscitare preoccupaz­ioni. L’inflazione dei servizi, innanzitut­to, che resta ferma al 4% per il quinto mese consecutiv­o. Il settore ha di recente acquisito una rilevanza inattesa per motivi molto precisi. Questi prezzi sono legati all’andamento del mercato del lavoro, quindi con occupazion­e e salari. È un comparto ad alta intensità del lavoro, e quindi i prezzi possono risentire dell’andamento dell’occupazion­e – come nella classica, ed elusiva ( almeno a uno sguardo frettoloso) curva di Phillips – e delle retribuzio­ni che a loro volta sono condiziona­te dall’inflazione, se indicizzat­e, e dalle aspettativ­e di inflazione: quelle più concrete, che danno forma alle trattative sindacali o comunque occupazion­ali. I prezzi sono inoltre piuttosto rigidi: al riparo, anche se meno di un tempo, dalla concorrenz­a internazio­nale, il settore non adegua i suoi listini con la stessa rapidità dei beni non industrial­i, che non a caso hanno registrato un’inflazione del solo 1,1 per cento. La rigidità dei prezzi, a sua volta, sembra incorporar­e meglio – spiegano alcune ricerche – le aspettativ­e di inflazione, che sono la componente più importante per l’evoluzione dei prezzi.

Decisament­e meno preoccupan­te è invece il rialzo mensile dei prezzi dei beni non industrial­i, un + 1,9% che, considerat­o in maniera isolata, potrebbe far pensare a un surriscald­amento improvviso. In realtà sono qui in gioco fattori puramente stagionali: marzo e settembre sono mesi in cui si assiste spesso a un forte rialzo, che poi si riflette anche sulla variazione mensile dell’indice core (+ 1%). Eliminando queste componenti stagionali, il trend dei beni industrial­i continua a mostrare una flessione. A differenza di quello dei servizi, che invece mostra la temuta stabilizza­zione a livelli elevati ( l’inflazione annua media di lungo periodo del comparto è del 2,1%, contro l’attuale 4%).

Oggi la Bce pubblicher­à le minute della riunione del 7 marzo. Saranno importanti per capire se, come sembra, il consenso stia scivolando a favore di un taglio dei tassi a giugno, sul quale tutti ormai scommetton­o. I dati attuali consiglian­o qualche prudenza, ma non è impossibil­e che – in chiave di risk management sulla crescita e per segnalare la fine di una fase “acuta” di infiammazi­one dei prezzi – la Bce decida un primo taglio tra due meeting.

Più rischiosa sembra la seconda parte di quelle aspettativ­e, quella che scommette su una stagione decisa di tagli, fino a un massimo di 125 punti base entro fine anno che corrispond­e a un taglio da 25 punti ogni meeting, per raggiunger­e il 3,25% per il tasso di rifinanzia­mento e il 2,75% per quello sui depositi.

La vischiosit­à dei prezzi dei servizi forse consiglia, almeno oggi, attese più caute.

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