Il rischio di un premier eletto sì, ma galleggiante
Cronache « un po’ surreali » ( il copyright è di Andrea Giorgis, capogruppo Pd in commissione) dalla Affari costituzionali del Senato, dove ieri si è esaminato l’articolo 4 del Ddl Casellati che regola i casi di sfiducia al premier eletto. Proviamo a metterci nei suoi panni, quelli dell’eletto. Il primo comma stabilisce che in caso di approvazione di una mozione di sfiducia motivata si torna dritti alle urne: tutto chiaro, compreso il fatto che nessuno presenterà tale mozione se non vuole rischiare di perdere il posto di parlamentare. Il secondo comma regola invece il caso di « dimissioni volontarie » . Qui il premier eletto ha tre opzioni: o chiede ed ottiene dal Capo dello Stato lo scioglimento delle Camere oppure si fa reincaricare provando magari ad allargare la maggioranza oppure passa la mano, sul modello inglese, a un parlamentare della maggioranza. Anche qui tutto chiaro: è l’eletto che ha il pallino della legislatura in mano. Ma che cosa accade nel caso in cui l’eletto viene battuto nel voto di fiducia su un provvedimento? Il caso non è stato normato per volontà della Lega, che evidentemente vuole riservarsi la possibilità di disarcionare l’eletto senza rischiare il ritorno alle urne. Secondo il presidente meloniano della commissione Alberto Balboni e secondo la ministra azzurra per le Riforme Elisabetta Casellati, suffragati da alcuni costituzionalisti vicini al governo, questo caso rientra in quello delle dimissioni volontarie e dunque l’eletto potrebbe essere rimandato di fronte alle Camere per verificare la sussistenza del rapporto fiduciario. Per i critici e per molti altri costituzionalisti, invece, nel caso di sconfitta sul voto di fiducia le dimissioni sono obbligate e non volontarie e dunque l’eletto non può chiedere lo scioglimento delle Camere e può essere sostituito. Ora rimettiamoci nei panni dell’eletto: da una parte eviterà come la peste i voti di fiducia ( non si sa mai), ma in questo modo riuscirà a far approvare pochissime leggi; dall’altra appena sentirà odore di crisi preferirà dimettersi “volontariamente” per essere reincaricato, ma solo « una volta nella legislatura » altrimenti si torna al voto. Insomma, un premier eletto sì, ma piuttosto galleggiante. La verità è che la fretta è cattiva consigliera: ieri è stato deciso l’approdo in Aula per il 23 aprile, in tempo per sventolare una qualche bandiera prima delle europee. Il testo, se la Lega si convincerà, verrà poi emendato direttamente in Aula. O durante la lettura a Montecitorio. O mai.