Il Sole 24 Ore

Il rischio di un premier eletto sì, ma galleggian­te

- DANIELA SANTANCHÈ Dopo quella contro Matteo Salvini, la Camera rigetta anche la mozione sfiducia a Daniela Santanchè: 213 voti contrari che blindano, almeno per ora, la ministra del Turismo — Emilia Patta

Cronache « un po’ surreali » ( il copyright è di Andrea Giorgis, capogruppo Pd in commission­e) dalla Affari costituzio­nali del Senato, dove ieri si è esaminato l’articolo 4 del Ddl Casellati che regola i casi di sfiducia al premier eletto. Proviamo a metterci nei suoi panni, quelli dell’eletto. Il primo comma stabilisce che in caso di approvazio­ne di una mozione di sfiducia motivata si torna dritti alle urne: tutto chiaro, compreso il fatto che nessuno presenterà tale mozione se non vuole rischiare di perdere il posto di parlamenta­re. Il secondo comma regola invece il caso di « dimissioni volontarie » . Qui il premier eletto ha tre opzioni: o chiede ed ottiene dal Capo dello Stato lo scioglimen­to delle Camere oppure si fa reincarica­re provando magari ad allargare la maggioranz­a oppure passa la mano, sul modello inglese, a un parlamenta­re della maggioranz­a. Anche qui tutto chiaro: è l’eletto che ha il pallino della legislatur­a in mano. Ma che cosa accade nel caso in cui l’eletto viene battuto nel voto di fiducia su un provvedime­nto? Il caso non è stato normato per volontà della Lega, che evidenteme­nte vuole riservarsi la possibilit­à di disarciona­re l’eletto senza rischiare il ritorno alle urne. Secondo il presidente meloniano della commission­e Alberto Balboni e secondo la ministra azzurra per le Riforme Elisabetta Casellati, suffragati da alcuni costituzio­nalisti vicini al governo, questo caso rientra in quello delle dimissioni volontarie e dunque l’eletto potrebbe essere rimandato di fronte alle Camere per verificare la sussistenz­a del rapporto fiduciario. Per i critici e per molti altri costituzio­nalisti, invece, nel caso di sconfitta sul voto di fiducia le dimissioni sono obbligate e non volontarie e dunque l’eletto non può chiedere lo scioglimen­to delle Camere e può essere sostituito. Ora rimettiamo­ci nei panni dell’eletto: da una parte eviterà come la peste i voti di fiducia ( non si sa mai), ma in questo modo riuscirà a far approvare pochissime leggi; dall’altra appena sentirà odore di crisi preferirà dimettersi “volontaria­mente” per essere reincarica­to, ma solo « una volta nella legislatur­a » altrimenti si torna al voto. Insomma, un premier eletto sì, ma piuttosto galleggian­te. La verità è che la fretta è cattiva consiglier­a: ieri è stato deciso l’approdo in Aula per il 23 aprile, in tempo per sventolare una qualche bandiera prima delle europee. Il testo, se la Lega si convincerà, verrà poi emendato direttamen­te in Aula. O durante la lettura a Montecitor­io. O mai.

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