Packaging alimentare, a rischio il 70% dei ricavi con le norme Ue
L’allarme di ProFood: associazione da 1,5 miliardi di fatturato e 4.500 addetti Colpiti i produttori di contenitori per ortofrutta e ristorazione collettiva
« A rischio c’è il 60- 70% del nostro fatturato, con la forza lavoro collegata. Qualcuna delle aziende del nostro settore sparirà. Con una mia personale previsione direi che già a partire dal 2028 saremo in guai seri » . Mauro Salini, presidente di ProFood, non nasconde la preoccupazione nel valutare l’impatto del regolamento europeo sugli imballaggi ( Ppwr) – sul cui testo c’è stato un accordo a livello di trilogo all’inizio di marzo che il Parlamento dovrà votare a Strasburgo il prossimo 24 aprile – sulle aziende che producono packaging alimentare. ProFood, all’interno di Federazione Gomma Plastica, raccoglie 14 imprese del comparto: 4.500 addetti in 29 impianti produttivi in Italia e all’estero, con un fatturato da 1,5 miliardi di euro. Rappresentano oltre il 70% della produzione italiana del settore.
« Il regolamento vieta imballaggi in plastica per ortofrutta e Horeca a partire dal 1° gennaio 2030. C’è l’incognita esenzioni: sapremo quali saranno le liste di prodotti banditi tra almeno due anni, quando saranno divulgate le linee guida per definirle. E saranno specifiche per ogni Paese. Questo rappresenta un elemento molto grave per noi, che va contro l’unità del mercato e diventerà difficile da gestire. Facciamo un esempio concreto: le fragole si imballano quando si raccolgono. Ma un contadino non può prevedere un cestino di plastica per l’Italia e uno di carta per la Germania, perché non sa quale sarà la sua destinazione ultima. Sarà una situazione difficile da gestire se non impossibile » , racconta Salini.
Su queste liste di proscrizione il presidente di ProFood ha già qualche idea: « Ci aspettiamo un divieto abbastanza largo del packaging in plastica, perché crediamo che verrà seguita la lista francese di prodotti vietati, l’unica al momento in Europa » . Il riferimento è al provvedimento emanato in Francia all’interno della legge Agec che vieta la vendita di frutta e verdura fresca confezionata in imballaggi di plastica, con peso inferiore al chilo e mezzo, con eccezioni che riguardano una trentina di prodotti, che presentano rischio di deterioramento se venduti sfusi, come fragole, frutti di bosco, ciliegie, lattuga, kiwi, oltre alla frutta matura. « Su questo abbiamo calcolato la perdita di fatturato » , spiega ancora Salini, osservando come la stagionalità spinta di una produzione che deve seguire le esigenze di poche colture metterà in crisi le aziende. Senza contare l’impatto sull’export ( « come potremmo far arrivare la nostra frutta ad Amburgo e a Goteborg senza un imballaggio adeguato? » ), sui consumatori ( « gli imballaggi alternativi alla plastica sono più costosi: chi pagherà la differenza? » ), sullo spreco e la sicurezza alimentare.
I tempi per un adattamento sono ristretti: « La grande distribuzione e il mercato anticipano, perché nessuno vuole l’incertezza. Si stanno già regolando con la vendita di frutta sfusa o nei cartoncini » , osserva Salini che aggiunge: « Le nostre aziende del mondo ortofrutta sono strutturate per plastica. Se questa viene vietata, non c’è alternativa. La bioplastica (“salvata” dal Ppwr, ndr) è un materiale che non ha disponibilità infinita per sostituirla » .
« A livello di produttori, sia per l’imballaggio per l’ortofrutta sia per la ristorazione collettiva, gli italiani sono di gran lunga i leader europei: è difficile trovare all’estero qualcuno che sostenga i nostri interessi. Eppure il nostro packaging già oggi supera alcune richieste del Ppwr: è riciclabile e contiene in alcuni casi anche il 70% di materiale riciclato. Questo regolamento non ha senso » , riflette il presidente di ProFood che conclude: « Si rischia quello che è successo con la Sup, la direttiva Ue sulla plastica monouso: vietate le nostre stoviglie monouso, sul mercato sono arrivati prodotti da fuori Europa in legno o bambù e non sappiamo cosa ci sia dentro. O pezzi più spessi, più pesanti, pensati per il riutilizzo. Peccato che non li riutilizzi nessuno. E che il peso dei rifiuti prodotti sia aumentato » .
‘ IN EUROPA
Avremmo bisogno di 900mila tonnellate di riciclato da poliolefine, ma non c’è