LE AUTO « STORICHE » DELL’URBE? VECCHI FURGONI E FUORISTRADA
Nella città eterna, tra tesori d’arte, storia e architettura che tutta l’umanità invidia, spicca anche un patrimonio che - almeno sulla carta - sembra del tutto integrato con il Rome- sounding: quello delle auto d’epoca.
Già, perché ogni santo giorno tra Fori Imperiali, Campidoglio, Piazza del Popolo e via della Conciliazione - e comunque dentro il perimetro della Ztl probabilmente più trafficata d’Europa - sfrecciano ben 5.594 veicoli di « certificata storicità » . Quanto basterebbe insomma per vergare una cartolina, magari in bianconero seppiato, per cultori della Dolce vita, utile a brandizzare ancora più, ammesso ce ne sia bisogno, la culla della civiltà, motoristica annessa.
L’incanto si infrange però scorrendo il file di « Analisi dei Certificati di rilevanza storica delle autovetture » “domiciliate” - e verosimilmente utilizzate quotidianamente - nell’Urbe. Passi per le 32 Fiat Cinquecento degli anni ’ 90 ( infortunio industriale che nulla ha da spartire con il modello iconico prodotto dal 1957 al 1975, quello sì testimone ambulante della storia patria) e pazienza anche per le 27 Panda immatricolate a cavallo di Millennio ( nemmeno cugine delle leggendarie “4x4”, “30” e “45” dei primi anni ’ 80, versioni “mundial” della rivoluzionaria e spartana vetturetta). I problemi di adeguatezza, o quantomeno di coerenza, iniziano con l’elenco di vecchie, spompatissime e truccatissime e inquinantissime fuoristrada, dai 70 Mitsubishi Pajero alle 75 Jeep Cherokee e Grand Cherokee, fino alle 45 Land Rover Discovery e 20 Opel Frontera: tutte con motori diesel sovralimentati di vecchissima generazione e fuori da ogni parametro “verde”. Ma a chiarire definitivamente che qualche cosa non torna nel sistema di “denominazione controllata” dei Crs spiccano due dozzine di furgoni Fiat Ducato, Fiat Scudo e VW Transporter, onesti e modesti mezzi da lavoro ancora in servizio ( verrebbe da chiedersi in quali condizioni), non certo cabinati da sfilata domenicale.
Secondo i dati Aci, in Italia risultano 553 mila veicoli di « rilevanza storica certificata » , un numero spropositato e che secondo queste rilevazioni è almeno cinque volte superiore al valore reale. Il motivo è che in deroga alla direttiva 2014/ 45/ Ue - che definisce veicoli di interesse storico quelli con almeno 30 anni, non più in produzione, preservati e mantenuti storicamente nello stato originario che non abbiano subito modifiche sostanziali nelle caratteristiche tecniche - il Codice della strada consente di considerare storiche auto ( « auto » ) con il solo requisito di 20 anni di età e senza particolari valutazioni di “pertinenza”. Gli enti certificatori previsti dal Cds ( articolo 60) sono cinque, due associazioni e tre ( rigorosi) marchi di produttori. A fronte di numeri che prestano il fianco al sospetto di abuso seriale del diritto - considerato che la certificazione di rilevanza storica spalanca l’esenzione del bollo ( totale in diverse Regioni, parziale in altre) delle tasse inerenti le transazioni ( Ipt su tutte) e, di fatto, delle polizze Rc - nella riforma al Codice della Strada erano comparsi due emendamenti sul tema. Emendamenti prontamente respinti nel passaggio in Aula, con totale incuranza del danno erariale da 30 milioni di euro/ anno e del disagio ambientale ( e di sicurezza) messo in strada ogni giorno da mezzo milione di carrette. Ma carrette « certificate » .