Governo diviso sul copyright, slitta il Ddl intelligenza artificiale
La competenza è di Bruxelles Butti convoca per martedì le piattaforme dell’Ia
La premier Giorgia Meloni ha sul tavolo due documenti sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale: la Strategia 2024- 2026, coordinata da un gruppo di lavoro nominato dal Dipartimento per la trasformazione digitale, e la Relazione sugli impatti per l’informazione, coordinata dal Dipartimento per l’editoria. Da entrambi i contributi dovrebbero arrivare spunti da inserire nel preannunciato disegno di legge per l’intelligenza artificiale. Ma questo schema di lavoro si è inceppato sulle regole per il copyright e il Ddl, inizialmente atteso per marzo, non arriverà al consiglio dei ministri nemmeno la prossima settimana, con probabile slittamento a metà aprile.
Bisognerà infatti prima trovare una linea condivisa sulle norme a tutela del copyright e per il contrasto dei deep fake che il Dipartimento per l’editoria guidato dal forzista Alberto Barachini ha inserito nelle prime bozze, ispirandosi ampiamente alla Relazione redatta da un gruppo di esperti coordinati dal teologo Paolo Benanti. Il problema è che l’Ai Act, il regolamento faticosamente approvato in
Europa, prevede che la competenza sulla difesa dei diritti d’autore dalle distorsioni dell’intelligenza artificiale resti fondamentalmente in capo alla Commissione Ue. Negli incontri tecnici propedeutici alla definizione del testo, il Dipartimento per la trasformazione digitale, che fa capo al sottosegretario all’Innovazione Alessio Butti ( FdI), ha messo in evidenza anche il rischio che restringere significativamente il perimetro possa penalizzare in modo asimmetrico le compagnie sul mercato italiano rispetto a piazze concorrenti in Europa. Di qui la frenata e l’ipotesi che alcune misure possano trovare spazio nel Ddl, ma solo dopo un’attenta riformulazione che ne smussi l’impatto più collidente con Bruxelles. Nel frattempo, martedì Butti ha convocato le grandi piattaforme dell’Ia per discutere del tema.
La Relazione di Benanti - che propone tra l’altro schemi contrattuali tra editori e i protagonisti dell’intelligenza artificiale, come Apple, Google, Microsoft, OpenAI, Amazon - si sofferma su due misure tecniche in particolare. Con la prima, verrebbe introdotto l’obbligo per gli sviluppatori di tenere un registro aggiornato che rechi i contenuti informativi coperti dal diritto d’autore utilizzati per l’input e, dunque, per l’addestramento dell’algoritmo. Nel contempo, si punta a promuovere la tracciabilità mediante la marcatura dei contenuti editoriali, in pratica una “filigrana digitale” basata sulla tecnologia blockchain che consentirebbe di distinguere i contenuti prodotti da essere umani da quelli realizzati con sistemi di Ia.
Un ulteriore pacchetto in discussione in vista del Ddl è all’esame del ministero della Giustizia e si riferisce alle misure per le sanzioni penali, ma anche in questo caso non è chiaro se si interverrà subito nel testo o si rinvierà a regolamenti successivi. L’assegnazione dei compiti di supervisione nazionale sull’Ia a due agenzie governative, altro punto controverso, appare invece confermata. Come anticipato da Butti, già nel Ddl il governo intende ripartire le competenze, per i rispettivi profili tecnici, tra Agenzia per l’Italia digitale e Agenzia per la cybersicurezza nazionale. Fatti salvi i compiti più specifici già oggi esercitati, non verrebbe quindi accolto il pressing del Garante della privacy, che rivendica per sé l’incarico e sottolinea, più in generale, la necessità di investire del ruolo un’Authority indipendente evidenziando il rischio di conflitti di interesse tra la presidenza del Consiglio, chiamata a definire le policy del settore, e Agenzie di controllo che sono dipendenti proprio da Palazzo Chigi.
Su questo specifico punto, secondo quanto ricostruito dal Sole- 24 Ore, la Commissione Ue ha informalmente dato la sua interpretazione al governo. In astratto l’Ai Act non obbliga gli Stati membri a nominare un’autorità indipendente con ruolo di coordinamento ( differenziandosi in questo dal Digital services act) ma, in concreto, come vengono ripartite le competenze a livello nazionale è un aspetto che verrà esaminato una volta notificata formalmente a Bruxelles la norma nazionale.