Clima, la babele dei programmi per mettere in sicurezza il Paese
Previste 360 azioni dal Piano nazionale per l’adattamento ma senza mappatura delle risorse L’Osservatorio per l’attuazione non nascerà prima di fine maggio. Ritardi anche su invasi e dissesto
Individuare le priorità e monitorare l’efficacia delle azioni messe in campo. Questi sono i compiti affidati all’Osservatorio nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici, previsto dall’omonimo piano nazionale – Pnacc, in breve – approvato dal Governo Meloni con decreto n. 434 lo scorso 21 dicembre, dopo un iter durato sei anni. Il “cervello operativo” a cui viene affidata la regia delle 360 azioni indicate dal Piano, da istituire entro tre mesi, andrà nominato con un decreto del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza che – fanno sapere dal dicastero – non sarà pronto prima di fine maggio e così, per il momento, le linee di intervento per la messa in sicurezza del Paese restano sulla carta.
La Strategia nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici risale al 2015 e il Piano dovrebbe finalmente darne attuazione. Le azioni elencate nel documento comprendono attività di mitigazione del rischio in diversi ambiti ( come agricoltura, turismo, trasporti, industrie ed energia) e interventi mirati per fronteggiare fenomeni come desertificazione, siccità e dissesto idrogeologico, fino agli ecosistemi naturali.
Non basterebbe però la nomina dell’Osservatorio per rendere operativa la pianificazione, secondo gli esperti. « Serve una mappatura delle risorse necessarie per attuare le oltre 360 azioni previste » , afferma Enrico Giovannini, co- fondatore e direttore scientifico dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile che monitora lo stato di avanzamento delle politiche ambientali. In sostanza, manca la possibilità di agganciare – e quindi allineare tra loro – gli interventi elencati nei vari piani di investimento, per cui sono già previsti dei fondi. « Il problema – precisa Giovannini – non sono le risorse, ma la mancanza di un collegamento tra le varie programmazioni e gli strumenti di pianificazione territoriale » .
Il Mase si dice impegnato per una soluzione che ponga rimedio all’attuale mancanza di specifiche fonti di finanziamento e ricorda che sarà compito dell’Osservatorio individuare le priorità di azione da attuare, a far valere sulle possibili fonti di finanziamento a livello europeo, nazionale e regionale. Le risorse in campo, insomma, ci sono ma l’occasione non va sprecata: al Pnrr, recentemente rimodulato, si affianca il Il Piano nazionale per gli investimenti complementari ( Pnc); il Governo sta poi sottoscrivendo gli accordi bilaterali con le singole Regioni per l’utilizzo dei fondi di coesione. « È urgente allineare le varie pianificazioni – aggiunge il portavoce Asvis – per indirizzare al meglio l’utilizzo di tutte le risorse » . Scongiurando il rischio che i fondi possano essere invece utilizzati per scopi minori, come esemplificato poche settimane fa dalla stessa premier Giorgia Meloni con una battuta sulle sagre del Cilento finanziate con i programmi europei di coesione.
Un altro intervento, previsto nel quadro del Pnrr, è la pianificazione integrata invasi e condutture. Il ministero delle Infrastrutture ha emanato un bando per gli interventi nelle infrastrutture idriche primarie e per la sicurezza dell’approvvigionamento idrico, in seguito al quale ha condotto una prima analisi degli interventi proposti: si contano 773 proposte inserite a sistema delle quali 562 ammesse, per un totale di valore economico di oltre 13,5 miliardi di euro. Nei giorni scorsi la seconda relazione del commissario straordinario per l’emergenza idrica, Nicola Dell’Acqua, ha individuato come urgenti 127 di queste opere per un controvalore di 3,67 miliardi. Ora la palla torna al Mit per la ricognizione delle risorse disponibili e degli interventi già in corso, e quindi per la successiva predisposizione del piano.
Nel frattempo Asvis e Protezione civile ricordano la necessità di adeguare i Piani di assetto idrogeologico e la pianificazione urbanistica comunale alle nuove mappe di rischio contenute nei sette Pgra delle Autorità di bacino, approvati nel 2021. Così come vanno aggiornati i Piani comunali di protezione civile. L’aggiornamento è obbligatorio, ma non ci sono scadenze nè sanzioni e negli uffici mancano le risorse e il personale per farlo in tempi rapidi.
Dopo la frana di Ischia del novembre 2022, inoltre, il Governo ha incaricato il ministro per la Protezione civile e le Politiche del mare, Nello Musumeci, di rivedere la pianificazione e la gestione dei fondi per mitigare il rischio legato al dissesto idrogeologico. Al gruppo di lavoro interministeriale, istituito c on ilDp cm del 2 dicembre 2022, è stato affidato il compito di ridefinire il quadro generale degli interventi e di presentare al Governo una proposta di semplificazione normativa per snellire l’iter progettuale e autorizzativo, sotto il coordinamento tecnico del dipartimento Casa Italia. La necessità di spingere l’ acceleratore per mettere in sicurezza i territori viene scandita dai numeri: l’Indice del clima pubblicato lo scorso 25 marzo sul Sole 24 Ore ha immortalato la geografia dei picchi di calore e delle piogge – sempre più intense – dell’ultimo decennio; l’ultimo osservatorio Città Clima di Legambiente ha rilevato ben 378 eventi meteorologici estremi nel 2023, in aumento del 22% rispetto al 2022. Statistiche che non lasciano più spazio a indugi nell’azione di prevenzione.