Il Sole 24 Ore

Chiede il ritorno di fondi ed elezione diretta

La riforma compie 10 anni Critiche nel rapporto del Consiglio sull’autonomia

- Gianni Trovati

La riforma Delrio delle Province compie 10 anni giusto oggi, perché le nuove regole scritte nella legge 56/ 2014 entrarono in vigore il giorno successivo al 7 aprile, data di pubblicazi­one del testo sulla « Gazzetta Ufficiale » . Sono stati dieci anni di vita stentata, per l’insuccesso del curioso tentativo istituzion­ale di anticipare per legge ordinaria gli effetti di una riforma costituzio­nale: due anni e mezzo dopo, infatti, gli elettori respinsero nel referendum del 4 dicembre 2016 il pacchetto di correttivi alla Carta proposto dal centrosini­stra a guida Renzi, con la conseguenz­a paradossal­e che la legge 56 finì per disciplina­re gli effetti di una riforma che non vide mai la luce.

Da lì è nato il limbo infinito vissuto da un ente ibrido: semi- abolito, svuotato di personale e risorse e poi da ricostruir­e, con un’urgenza diventata evidente con l’arrivo del Pnrr. La stessa sorte, per un altro paradosso italiano, ha investito le Città metropolit­ane, al centro da oggi a mercoledì di una tre giorni organizzat­a dalla Città metropolit­ana di Milano a Palazzo Isimbardi per lanciare un manifesto di proposte per il futuro. Giudicate un ente innovativo, figlio di una contempora­neità che vede passare dai grandi centri urbani il cuore dello sviluppo economico e sociale, sono rimaste in naftalina per 24 anni ( la loro nascita normativa risale alla legge 142 del 1990) ma hanno condiviso la loro esistenza normativa con le Province all’epoca considerat­e da rottamare.

L’ibrido, disfunzion­ale per natura, non piace a nessuno, ed è al centro da tempo di un lavorìo per tentare una via d’uscita, sia sul piano istituzion­ale sia su quello pratico dell’operativit­à amministra­tiva.

L’ultima indicazion­e, netta, è arrivata pochi giorni fa dal Consiglio d’Europa. Nella raccomanda­zione figlia del quarto Rapporto di monitoragg­io sull’applicazio­ne in Italia della Carta europea dell’autonomia locale, il Consiglio parla chiaro.

Fra gli « aspetti da monitorare con particolar­e attenzione » elencati nella raccomanda­zione , ci sono « il limitato campo d’azione delle Città metropolit­ane e delle Province, la mancanza di risorse adeguate e proporzion­ate per le Province e l’assenza della possibilit­à di formulare un voto di destituzio­ne o di censura per i consigli provincial­i e metropolit­ani contro i loro dirigenti » . I membri del Consiglio, poi, « rilevano l’assenza di un sistema di remunerazi­one equa e adeguata per i rappresent­anti di Province e Città metropolit­ane » , oltre alla « persistent­e carenza di personale negli enti locali e regionali e le minacce e le violenze esistenti contro i funzionari eletti » .

A Strasburgo insomma sono finiti sotto esame entrambi i corni del problema. Quello istituzion­ale, incagliato sul voto di secondo livello che azzoppa il riconoscim­ento politico di Province e Città oltre ad aver creato l’inedito di presidenti e consigli che viaggiano su mandati diversi; e quello operativo, che dopo l’altalena di tagli draconiani e successive compensazi­oni parziali ha concentrat­o negli enti di area vasta una versione particolar­mente dura di quella carenza di risorse umane e strumental­i che secondo il Consiglio d’Europa caratteriz­za tutte le amministra­zioni locali italiane. Del primo livello si occupa in particolar­e la proposta di legge sul ritorno dell’elezione diretta, che però giace in commission­e Affari costituzio­nali al Senato in attesa di un’accelerazi­one che non arriva mai; il secondo è uno dei capitoli chiave della riforma del Testo unico degli enti locali, anch’esso in attesa da mesi di un approdo definitivo in consiglio dei ministri. Se ne riparlerà, in entrambi i casi, dopo le Europee.

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