Il Sole 24 Ore

Riforme, il premier potrà sempre sciogliere le Camere

Fdi vince il braccio di ferro con la Lega: sì al rafforzame­nto dei poteri in cambio del sì all’Autonomia. Resta il nodo della legge elettorale

- Emilia Patta

Alla fine il presidente meloniano della commission­e Affari costituzio­nali del Senato Alberto Balboni e la ministra azzurra per le Riforme Elisabetta Casellati, interpreta­ndo la volontà della premier Giorgia Meloni, hanno vinto prima del previsto la battaglia con la Lega su un punto dirimente della riforma costituzio­nale che introduce l’elezione « a suffragio universale e diretto » del premier: con l’emendament­o presentato da Alleanza Verdi/ Sinistra che sopprime la parola « volontarie » dall’articolo 4 del Ddl Casellati, approvato all’unanimità dalla commission­e, il premier eletto avrà di fatto il pieno potere di scioglimen­to delle Camere, che è il vero potere deterrente delle crisi politiche, allineando­si in questo ai colleghi dei principali Paesi europei. Non saranno insomma possibili sgambetti da parte dei partiti minori della maggioranz­a, né sostituzio­ni con un secondo premier a meno che questa non sia la volontà dell’eletto.

Nel dettaglio, il testo prevede tre casi di soluzione delle crisi. Caso uno: « In caso di revoca della fiducia al presidente del Consiglio eletto, mediante mozione motivata, il presidente della Repubblica scioglie le Camere » . Qui tutto chiaro: si torna dritti alle urne, e quindi è improbabil­e che venga presentata tale mozione di sfiducia a meno di non volere la fine della legislatur­a. Caso due: « In caso di dimissioni volontarie ( parola soppressa ieri) del presidente del Consiglio eletto, previa informativ­a parlamenta­re, questi può proporre, entro sette giorni, lo scioglimen­to delle Camere al presidente della Repubblica, che lo dispone » . Il premier ha dunque la facoltà di chiedere e ottenere lo scioglimen­to anticipato se c’è una crisi politica. Caso tre: « Qualora non eserciti tale facoltà e nei casi di morte, impediment­o permanente, decadenza, il Presidente della Repubblica può conferire, per una sola volta nel corso della legislatur­a, l’incarico di formare il governo al presidente del Consiglio dimissiona­rio o a un altro parlamenta­re eletto in collegamen­to con il presidente del Consiglio » . Nel caso in cui il premier eletto non voglia tornare alle urne ha dunque due opzioni: o tentare la strada del reincarico e magari provare a cambiare la maggioranz­a, sostituend­o ad esempio il partito che gli ha tolto l’appoggio con un partito dell’opposizion­e, oppure può passare la mano ad un altro esponente della maggioranz­a. Nel testo non era però stato normato, per volontà della Lega, il caso di mancata fiducia su un provvedime­nto, caso che per la maggior parte dei costituzio­nalisti comporta dimissioni obbligate e non volontarie del premier: evidente la volontà di riservarsi la possibilit­à di disarciona­re l’eletto senza rischiare il ritorno alle urne. Ora, con l’eliminazio­ne della parola « volontarie » , non c’è più incertezza d’interpreta­zione e anche nel caso di mancata fiducia su un provvedime­nto l’eletto può chiedere e ottenere il ritorno al voto.

Ma come mai la Lega si è convinta? Semplice, dicono fuor di taccuino i senatori della maggioranz­a: in cambio della promessa del via libera definitivo della Camera entro le europee all’Autonomia differenzi­ata, attesa in Aula il 23 aprile. Ad ogni modo, se il Ddl Casellati è ora più razionale e più coerente con il principio dell’elezione diretta, resta da sciogliere il nodo del sistema di voto. In Costituzio­ne si fissa solo il principio di « un premio da assegnare su base nazionale che garantisca la maggioranz­a dei seggi » , ma non si stabilisce la soglia necessaria a far scattare il premio. E resta da risolvere, per stessa ammissione di Balboni e Casellati, il nodo dei 5 milioni di italiani all’estero: ora i loro voti sono incanalati nella circoscriz­ione estero che elegge 4 deputati e 8 senatori, ma con l’elezione diretta un voto vale uno e potrebbero ribaltare qualsiasi risultato. Ci si penserà forse in Aula, dove il testo è atteso il 29 aprile, oppure dopo le europee durante l’esame della Camera.

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La premier e leader di Fdi, Giorgia Meloni, con il vicepremie­r e segretario della Lega, Matteo Salvini
ANSA Nodo riforme. La premier e leader di Fdi, Giorgia Meloni, con il vicepremie­r e segretario della Lega, Matteo Salvini

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