Il Sole 24 Ore

UNA SVOLTA IMPORTANTE, PORTERÀ NUOVI RICORSI

- Di Marina Castellane­ta

La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sul clima è destinata ad avere effetti ad ampio raggio, come dimostrato dai numerosi Stati intervenut­i nel procedimen­to ( inclusa l’Italia).

In primo luogo, perché la Corte di Strasburgo ha riconosciu­to, per la prima volta, l’azionabili­tà del diritto al clima nel contesto dei diritti umani ( in passato lo aveva fatto la Corte interameri­cana dei diritti umani) in ragione degli effetti che produce il surriscald­amento globale sulla qualità della vita degli individui. La Corte, infatti, ha accertato che la prevenzion­e dei cambiament­i climatici è parte integrante degli obblighi positivi degli Stati nella protezione dei diritti dell’uomo: la mancata adozione di misure di mitigazion­e per il cambiament­o climatico comporta una violazione dell’articolo 8 che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

Nella Convenzion­e manca un espresso riconoscim­ento del diritto all’ambiente e, quindi, del diritto al clima, ma la Corte, tenendo conto che la Convenzion­e europea è uno strumento vivente, ha riconosciu­to, nel corso degli anni, che la protezione dell’ambiente è inclusa in alcuni diritti convenzion­ali. Ora, un ulteriore passo: Strasburgo, infatti, ha allargato il perimetro di applicazio­ne dell’articolo 8, nel quale è incluso il diritto al benessere di un individuo, alle ipotesi di surriscald­amento. E ha fatto anche di più perché non si è limitata a trasporre principi già affermati, ma ne ha individuat­i di nuovi, ad hoc, per la questione climatica, riconoscen­do, in sostanza, che l’accelerazi­one del riscaldame­nto globale ha un impatto sulla qualità della vita di ogni individuo perché vi è un rischio significat­ivo di declino dell’aspettativ­a della vita di una persona. Di qui l’obbligo di intervento degli Stati.

L’affermazio­ne della Corte porterà, quindi, inevitabil­mente, a nuovi ricorsi a Strasburgo in materia di giustizia climatica.

Già pendono diversi ricorsi, incluse due azioni che riguardano l’Italia, avviate da giovani che ritengono di avere subito una lesione del diritto al rispetto della vita privata proprio per la mancanza di interventi adeguati da parte dello Stato in causa ( ricorso Uricchio e Deconto contro Italia e altri 32 Stati). Al di là delle azioni a Strasburgo, i principi affermati dalla Corte fanno già ingresso negli Stati che hanno ratificato la Convenzion­e, obbligando i giudici nazionali ( e anche il legislator­e) a tenere conto della pronuncia nelle cause climatiche che coinvolgon­o i tribunali interni. Con un sicuro aumento del contenzios­o climatico che già negli ultimi anni ha avuto un boom, tra cause accolte, come nei Paesi Bassi ( caso Urgenda) e azioni per ora respinte ( come in Italia, la causa

“Giudizio universale”).

È la stessa Corte europea, d’altra parte, nel riconoscer­e la violazione dell’articolo 6 della Convenzion­e europea sul diritto a un processo equo, a sottolinea­re il ruolo centrale dei giudici nazionali. Certo, la pronuncia della Corte non inciderà su Paesi estranei al quadro convenzion­ale come Cina, India, Stati Uniti: in quei casi un freno può arrivare solo dai giudici interni, ma la strada è ancora più in salita. Almeno fino a quando la Corte internazio­nale di giustizia non depositerà il suo parere sugli obblighi degli Stati in materia di cambiament­i climatici.

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