UNA SVOLTA IMPORTANTE, PORTERÀ NUOVI RICORSI
La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sul clima è destinata ad avere effetti ad ampio raggio, come dimostrato dai numerosi Stati intervenuti nel procedimento ( inclusa l’Italia).
In primo luogo, perché la Corte di Strasburgo ha riconosciuto, per la prima volta, l’azionabilità del diritto al clima nel contesto dei diritti umani ( in passato lo aveva fatto la Corte interamericana dei diritti umani) in ragione degli effetti che produce il surriscaldamento globale sulla qualità della vita degli individui. La Corte, infatti, ha accertato che la prevenzione dei cambiamenti climatici è parte integrante degli obblighi positivi degli Stati nella protezione dei diritti dell’uomo: la mancata adozione di misure di mitigazione per il cambiamento climatico comporta una violazione dell’articolo 8 che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare.
Nella Convenzione manca un espresso riconoscimento del diritto all’ambiente e, quindi, del diritto al clima, ma la Corte, tenendo conto che la Convenzione europea è uno strumento vivente, ha riconosciuto, nel corso degli anni, che la protezione dell’ambiente è inclusa in alcuni diritti convenzionali. Ora, un ulteriore passo: Strasburgo, infatti, ha allargato il perimetro di applicazione dell’articolo 8, nel quale è incluso il diritto al benessere di un individuo, alle ipotesi di surriscaldamento. E ha fatto anche di più perché non si è limitata a trasporre principi già affermati, ma ne ha individuati di nuovi, ad hoc, per la questione climatica, riconoscendo, in sostanza, che l’accelerazione del riscaldamento globale ha un impatto sulla qualità della vita di ogni individuo perché vi è un rischio significativo di declino dell’aspettativa della vita di una persona. Di qui l’obbligo di intervento degli Stati.
L’affermazione della Corte porterà, quindi, inevitabilmente, a nuovi ricorsi a Strasburgo in materia di giustizia climatica.
Già pendono diversi ricorsi, incluse due azioni che riguardano l’Italia, avviate da giovani che ritengono di avere subito una lesione del diritto al rispetto della vita privata proprio per la mancanza di interventi adeguati da parte dello Stato in causa ( ricorso Uricchio e Deconto contro Italia e altri 32 Stati). Al di là delle azioni a Strasburgo, i principi affermati dalla Corte fanno già ingresso negli Stati che hanno ratificato la Convenzione, obbligando i giudici nazionali ( e anche il legislatore) a tenere conto della pronuncia nelle cause climatiche che coinvolgono i tribunali interni. Con un sicuro aumento del contenzioso climatico che già negli ultimi anni ha avuto un boom, tra cause accolte, come nei Paesi Bassi ( caso Urgenda) e azioni per ora respinte ( come in Italia, la causa
“Giudizio universale”).
È la stessa Corte europea, d’altra parte, nel riconoscere la violazione dell’articolo 6 della Convenzione europea sul diritto a un processo equo, a sottolineare il ruolo centrale dei giudici nazionali. Certo, la pronuncia della Corte non inciderà su Paesi estranei al quadro convenzionale come Cina, India, Stati Uniti: in quei casi un freno può arrivare solo dai giudici interni, ma la strada è ancora più in salita. Almeno fino a quando la Corte internazionale di giustizia non depositerà il suo parere sugli obblighi degli Stati in materia di cambiamenti climatici.